... la terra promessa ... - di Francesco Briganti

28.07.2014 11:17

Qualche centinaia di milioni di anni fa questo paese non esisteva. Proprio fisicamente non esisteva. Un grande oceano giungeva sino a quel limite oggi rappresentato dall'arco alpino e quella che sarebbe diventata l'Africa era molto più lontana di quanto lo sia ora dalla Sicilia. Un bel giorno da quella che sarebbe diventata la penisola iberica, Spagna e Portogallo, si staccò un grosso pezzo di placca tettonica che cominciò a migrare (quando si dice il destino) verso est e naviga che ti naviga finì con lo scontrarsi a nord con quella che sarebbe diventata l'Europa, generando così le Alpi, per quindi spingersi verso sud est così costituendo la dorsale appenninica nel mentre che lasciava per strada, a futura memoria, la Sardegna, la Corsica e la Sicilia. Come un extra comunitario in cerca di fortuna ( e tu dai ...), l'Italia geografica trovò sé stessa al centro del Mediterraneo proponendosi come prezzemolo per ogni futura minestra.
Decine di migliaia di anni fa i primi esponenti della razza umana comparirono nel nord est della penisola: Verona e dintorni; essi, mi dispiace per i leghisti, provenivano dall'Africa ed i loro geni sono tutt'ora nel sangue italiota di coloro che vantano ascendenze celtiche e mittleuropee fingendo di ignorare un origine comune per ognuno.
Poco più che animali intelligenti quei primi uomini si stanziarono un pò per tutto il territorio subendo in ogni dove l'influenza di quelli che nel corso dei secoli approdavano indisturbati a razziare, a portare conoscenza e cultura, a fondare nuovi insediamenti e domini sulle varie sponde italiche. I primi itali, però, li ritroviamo in quella che oggi è la Calabria e da quei territori, dapprima nominati come "Magna Grecia" si diffusero le maggiori esperienze culturali e filosofiche.
Il contagio verso nord di queste acquisizioni culturali si diversificò nell'integrarsi, nell'apprendimento e nel forgiare i vari caratteri dei popoli che incontrava, definendo così quelle diversità che ancora oggi rendono un non popolo quel popolo il quale, "bastardo nella sua interezza e nella migliore accezione del termine possibile", ancora oggi occupa senza padroneggiarla una delle più belle terre al mondo.
Dunque, l'Italia geografica è una parvenue tra quelle dell'ultima ora geologica e gli italiani sono un misto genetico-culturale tra i più eterogenei possibili. Italia ed Italiani, quindi, non hanno originalità ed unicità identitarie di suolo, di razza e di cultura. L'Italia e gli Italiani stanno in Europa per un capriccio della tettonica a placche e per la voglia di espansione di altri che, padroni del proprio essere, vollero esportarlo altrove.
Come il succo di un limone spremuto questa è, molto in sintesi, la genesi amara del nostro esistere; un esistere, certo ed allo stesso tempo sublime, poi influenzato, corroborato ed esaltato proprio da quelle caratteristiche che rendono un essere "bastardo" molto più bello, fantasioso ed intelligente di un altro, per proprio conto figlio sempiterno di incroci tra consanguinei e, quindi, di pura razza codificata.
La bellezza, la fantasia, l'intelligenza hanno fatto sì che, nel correre dei secoli passati e sino ad oggi, da questa terra venissero fuori i dogmi del diritto, le più grandi espressioni scientifiche e culturali, le invenzioni più innovative, le manifestazioni artistiche più auliche e profonde al punto tale da far definire l'Italia come la culla dell'occidente: un paese amato ed ammirato dall'intero pianeta.
Da qualche decennio, però, l'idea che dell'Italia aveva il mondo si è andata modificando. Gli altri terrestri sono passati da un senso di invidia verso il paese ed i suoi abitanti ad uno di disinteresse passando attraverso lo stupore, l'incomprensione, la derisione ed il compatimento.
Nell'arco dell'ultimo ventennio abbiamo fatto a gara per raggiungere il fondo di un barile metaforico ed ancora oggi continuiamo a raschiarne il fondo nella speranza che l'uscita sia ancor più nel profondo piuttosto che, e come sarebbe logico pensare, verso l'alto e verso quel cielo di speranza che neanche più riusciamo a vedere.
Nell'ultimo triennio ci siamo accomodati su di un seggio di chiodi e lasciamo che ogni singola punta acuminata penetri lentamente nelle carni, incapaci come siamo di rialzarci e, quanto meno, di medicare le ferite.
Negli ultimi mesi, pur accorgendoci della gangrena che va diffondendosi nelle nostre membra, pur avvertendo il fetore dell'imputridimento generale, invece di procedere ad una operazione chirurgica, forse tardiva, ma ancora risolutrice, tentiamo con i placebo più assurdi ed incomprensibili, di salvare un moribondo già steso sul proprio letto tombale.
Negli ultimi giorni di questa strana autunnale estate anche il meteo sembra essersi rassegnato ad un lento progressivo ineluttabile incombere dell'inverno finale mentre il barometro del domani, quello prossimo e quello più lontano, continua a segnare

tempesta e solo tempesta.