L’alba … - di Francesco Briganti

15.09.2013 08:37

Dall’alto della strada, la scogliera sembrava perdersi nel mare nascosta com’ era dalla foschia che, pur a banchi, ogni tanto sembrava sparire. Alla sua destra il mare rabbioso le si avventava contro innalzando spruzzi candidi che si disperdevano nel ricadere in ogni anfratto per poi ritirarsi incontro all’onda successiva ancora più adirata nel trovare una concorrente resistente alla sua invadente violenza.
Lo specchio d’acqua alla sua sinistra alieno, nella sua apparente tranquillità, mi dava l’idea di una calma rassegnata, di una indifferenza imposta da quella muraglia che ne limitava ed obbligava la vita naturale di acqua in movimento.
Si intraveda, circa alla metà di quella specie di molo che separava gli scogli dal mare sedato, una figura che, irta ed impettita, porgeva le spalle alla furia della natura. Sembrava fissasse un improbabile schiarita nell’orizzonte di fronte a sé ben oltre le poche centinaia di metri che separavano le due sponde della piccola baia: in un primo momento pensai pescasse, con che speranza proprio non avrei saputo dire. Immediatamente mi resi conto di quanto fosse assurdo il pensiero, l'indifferenza alla violenza marina che tuonava alle sue spalle lo rendeva estraneo ad ogni attività terrena:
“ ed allora …?” chiesi a nessuno scandendo ogni singola sillaba di modo che il vento mi facesse da messo e mi desse una risposta pur che fosse … . L’assordante frastuono degli elementi si esprimeva con tutta le forza dei propri accordi in quella che non era più e solo un’accozzaglia di rumori, ma diventava una sinfonia armonica secondo dopo secondo dopo secondo.
Rialzai sul collo il bavero del giaccone e presi a scendere il sentiero tra la macchia per portarmi alla scogliera. Mi muovevo, tra arbusti di ginepro e corbezzolo, continuando a guardare verso la figura ad ogni passo e mi affrettavo quando l’incrociarsi dei lecci e dei sugheri me ne coprivano la vista. L’odore del rosmarino andava a fondersi con quello dello iodio marino che si spandeva per diffusione in ogni dove e i miei polmoni godevano, in quel tripudio ionico di respiri, del fumo della sigaretta che, come mille altre, lentamente si sarebbe consumata tra le mie labbra.
Il frastuono del mare aumentava in proporzione al consumarsi della distanza e divenne assordante nel momento stesso che posavo le mie scarpe sulla rena bagnata di una piccola spiaggia che si apriva alla fine del declivio. Seguii, quasi ricalcandole, le fila di orme che indirizzavano alla base della scogliera; il mare, alla mia destra, sembrava accanirsi con maggiore violenza contro quella barriera costruita e freddi spruzzi mi avevano reso, per metà, fradicio mentre l’altro mezzo mio essere, per contiguità, cominciava a seguire la stessa sorte: sentivo scendere lungo il collo le avanguardie di una liquida invasione.
Portai alle labbra l’ennesima sigaretta mentre, incurante della pioggia salina che rimbalzava sugli scogli, mi arrampicavo per raggiungere quella sorta di camminamento; l’ennesimo spruzzo si allargò sul mio viso spegnendo al contempo ogni nicotinica velleità.
Ad ogni passò verso la figura mi sembrò che il vento aumentasse rinforzando il mare che, a sua volta , ululava facendo a gara di frastuoni con la furia turbinante intorno a me; alla mia sinistra la linea dell’orizzonte era un tutt’uno grigio ferro e opaco con il mare, sul quale si scaricavano, improvvisi, lampi buastri e fulmini luminescenti: sorde eco di tuoni lontani battevano il ritmo elettrico in lontananza in un convulso succedersi di contrazioni e rilasci spazio temporali dolorosi al pensiero e fatiganti come un masso da trasportare.
Lo raggiunsi, era tal quale l’avevo visto da lontano, immobile e fermo ed assolutamente incurante della tempesta attorno a noi; mi resi d’un tratto conto, mentre allungavo una mano a sfiorargli il braccio, di quanto fosse naturalmente connaturato al resto della scenografia: semplicemente ne faceva parte!.
Al mio tocco voltò il viso nella mia direzione, un leggero sorriso gli dipinse l’espressione, i suoi occhi per frazioni di secondo cangianti, divennero poi di un profondo indefinito colore ed allo stesso tempo quasi trasparente, i suoi capelli mutavano colore in continuazione per poi fermarsi sul biondo quasi oro con boccoli cadenti lungo le tempie, appoggiò la sua mano sulla mia fronte quindi, rivolgendosi di nuovo alla baia che aveva di fronte, allungò un braccio davanti a sé quasi a darmi una indicazione, una via: la punta delle sue dita affusolate sembrarono aprire nell’aria un canale in fondo al quale, pallida ma crescente in intensità, si intravedeva bianca e candida una luce … a gesti mi invitò ad avviarmi nel vuoto che avevo di fronte ….
“ Spingi bella mia … spingi! “ sentii avviandomi, “ è un maschio … un ultimo sforzo ed abbraccerai tuo figlio …, Spingi ! “ … e la luce fu … mentre gridavo al mondo il mio primo vagito!.