… l’altare della patria … - di Francesco Briganti

02.09.2015 13:13

Entrambi i miei figli lavorano. Oh!, intendiamoci, si fa per dire; la più piccola, maturità linguistica, iscritta al corso di laurea in psicologia, 5 dei sette esami canonici del primo anno superati, integra lo studio impegnandosi in un contratto, di quelli part time, saltuari e senza sbocco alcuno, come cameriera di sala in un Hotel di Montecatini a sei euro lorde l’ora; l’altro, il più grande, due lauree, giornalista professionista, due lingue, nozioni di arabo, programmatore, vincolato di due mesi in due mesi, finché dura, a cinquecento eu. mensili. Entrambi vivono in casa; entrambi sono fidanzati; entrambi con persone più o meno nelle stesse condizioni; entrambi estremamente di sinistra; entrambi schifati dal governo e dai suoi componenti; entrambi a ritenersi più che fortunati pur sapendo che, così continuando, credere nel futuro sarebbe come esser certi di sposare Brad Pitt e Charlize Theron, quelli veri e rispettivamente.

Ho parlato dei miei figli, ma avrei potuto prendere ad esempio ciascun esponente di quel cinquanta percento di ragazze e ragazzi, sotto occupati, mal pagati, senza diritti e senza futuro che corrispondono all’altra metà di un mela che si completa con una pletora di giovani di belle speranze deluse, frustrate e vilipese, i quali non possono nemmeno considerarsi fortunati essendo privi persino dell’indegnità di un lavoro pur che fosse.

Poi ci sono le donne e gli uomini a completare quel quindici percento di popolazione disoccupata; sono queste delle persone che hanno una famiglia propria o comunque fanno parte di una, loro, per appartenenza filiale, per affiliazione caritatevole o assistita: esse sono, comunque, un disonore per una società civile che avesse una qualche attenzione alla propria funzione e fosse figlia di una nazione, di uno stato, di un governo degni ciascuno di ognuna di queste attribuzioni.

Dobbiamo, quindi, annoverare i pensionati al minimo ai quali aggiungere coloro che una volta pensavano di essere qualche gradino più nella classificazione stupida e deleteria che un popolo fa in caste; oggi esiste la plebe: gli esempi citati, i comunque poveri, quelli che ancora non lo sono, ma sono destinati ad esserlo, gli illusi, per ora ed ancora, convinti di essere fuori da ogni rischio di disturbo economico; ed esiste la nobiltà del denaro: quel dieci percento di popolazione che detiene un sessanta percento della ricchezza nazionale; percentuale di ricchezza destinata a crescere di funzione diretta e proporzionale all’impoverimento del restante novanta percento di persone.

Esistono in mezzo a tutto ciò i politici di qualunque rango, carica, importanza li vogliate considerare; costituiscono costoro parte della nobiltà economica, ma sono interamente compresi nella plebe se li si considera dall’ottica della povertà intellettuale. Dal mio punto di vista non vi sono esclusioni, nemmeno per coloro che professano, ma poi si vedrà, una rinuncia programmata ad un ruolo, ad una retribusione, a degli incarichi ed ad una importanza personale che mai avrebbero sognato prima. Non escludo tra loro la presenza di qualche “santo effettivo” a mantenere ciò che hanno promesso, ma sono sicuro che la maggior parte troverà ben profonde ragioni e giustificazione a perpetuarsi nello stato cui è pervenuto: accetto scommesse.

Dei predecessori, dei vecchi della politica ne accenno solo per dire che verso di loro lo schifo è totale.

Viviamo un’epoca storica in cui i valori umanistici sono completamente disattesi ed anzi mortificati ed offesi; è questa l’epoca del pragmatismo affaristico, della logica matematica dell’interesse assurta a filosofia di vita; del dio denaro di cui si fanno schiavi volontari, benché illusoriamente liberti, i vari governanti a succedersi, qui e là, mai più capaci di credere in sé stessi ed ancor prima di essere assassini di uomini, di democrazie: sono, costoro, colpevoli del genocidio degli stati sociali in nome di un capitalismo del mercato e dello sfruttamento che nella rincorsa all’accumulo ed al profitto più fine a sé stesso nemmeno più fa caso o si rende conto che alla fine, proprio per logica matematica, sarà responsabile della propria stessa eutanasia.

Qui, però, palare di nazione, di stato e di governo senza assimilare nella stessa vergogna i governati, i patrioti (deche?) ed i componenti tutti di un popolo, sarebbe illusorio, uno scarica barile nefasto ed una ammissione certificata di stupidità a negare una furbizia interessata e ceca: nessuno può subire altro se non quello che egli stesso permette gli sia inflitto!.

Il resto sono ciacole da comari e di oche a starnazzare sulle mura del web per gridare ad un nemico che ha già e profondamente colpito alle spalle.

Ciascuno di noi ha nel suo privato orticello un altare al quale si inginocchia, presso il quale prega, sul quale innalza il proprio sacrificio, ma ognuno di essi è rapportato al serio cambiamento di stato fisico avvenuto da tempo in “questopaese” il cui altare della patri non trova più residenza a Roma, ma si è trasferito a Milano nel palazzo della BORZA …

scritto con la z come è giusto che sia per dei miserabili e rassegnati plebei!.