... Maramaldo ... - di Francesco Briganti

20.05.2016 14:02

" Fabrizio Maramaldo (Napoli o Tortora, 28 ottobre 1494[1] – Napoli, dicembre 1552) è stato un condottiero italiano, soldato di ventura originario del Regno di Napoli, reso famigerato dall'episodio dell'uccisione del capitano Francesco Ferrucci il 3 agosto 1530, nella battaglia di Gavinana, prigioniero, ferito e inerme. ( ... ) ". Wikipedia, ndr.

" ... tu uccidi un uomo morto ... " queste le ultime parole del capitano Ferrucci, già in agonia per le ferite riportate, nel momento in cui il mercenario Maramaldo gli infliggeva una pugnalata inutile ed a tradimento. Dunque un uomo, l'ennesimo di una potenza elevata all'infinito, vittima di un altro che profittava di una situazione di evidente vantaggio per manifestare la propria indole maligna e infingarda; quindi una sorta di tradimento di quella natura che vorrebbe gli esseri umani come razionali e con quel tanto di cuore da reggere la passione del momento riuscendo a mediarla con il rispetto e la compartecipazione alla condizione altrui.

Da tutto ciò il tradire ed il tradimento!.

Di solito è il tradito, o chi è o si sente vittima di un tradimento, quello che o se ne vergogna e tace o, viceversa, sbandiera ai quattro venti una propria tipica condizione, quale che fosse, per rendere al pubblico ludibrio la reale o supposta condizione dell'altro a tradire; di certo colui che ne è protagonista vincitore, se così mi è consentito dire, non ne fa mai una questione di vanto né tanto meno di discussione; chi tradisce, infatti, non ammetterà mai, nemmeno con sé stesso, la propria condizione di giuda. Non lo farà mai giacché se ne avesse quella contezza razionale e propedeutica mediata dal rispetto dell'altro, avrebbe anche il tempo di provvedere ai necessari accorgimenti nell'avvertire del proprio cambiamento e, dunque, rimettendosi in discussione, ritornerebbe ad essere lineare ed onesto.

A volerle trovare, anche ad un tradimento si trovano ragioni a giustificare; alcune sono dettate dalla necessità, dall'amore, dalla vigliaccheria, da una particolare condizione contingente nel luogo, nel tempo, nello spazio; ma anche queste ragioni rientrano nel razionale collettivo o particolare e dunque esulano dall'atto stesso del tradire in quanto posteriori ad esso e, comunque, funzione di troppe variabili per essere considerate qui ed ora.

Si può allora dire che il traditore è un irresponsabile o , meglio, un "non responsabile"?; si può affermare che come tale egli non dovrebbe essere perseguibile per le proprie azioni?; si dovrebbero, quindi, accettare le conseguenze di un tradimento come eventi naturali del possibile e, una volta vittime, alzare supinamente gli occhi al cielo dicendo a sé stessi un " ... meglio così che peggio?".

No, io sono sicuro di no!. Eppure è questo che succede ogni giorno, ovunque nel mondo e per la stragrande maggioranza dei casi ed è la risposta al tradimento, violenta o pacifica che fosse, quella che diviene molto spesso oggetto di esagerata condanna o di esagerato scherno e/o, persino, di castigo e pena, materiale e non, per il tradito.

Perché?.

Semplicemente per le stesse ragioni per cui si tradisce: NON si ragiona abbastanza sulle concatenazioni tra cause ed effetti; ci si arrende alle particolari condizioni e convinzioni personali o di parte; ci si sente massa informe piuttosto che aggregazione di "persone", ci si convince che in un mondo dove tutto scorre troppo in fretta per fermarsi al semplice principio de " gli altri siamo noi " ogni cosa diviene sempre e solo interessante ed importante quando ci riguarda nello specifico e da vicinissimo: in una sola parola inserita in un solo concetto

NON C'E' PIU' RISPETTO PER NULLA E PER NESSUNO!.

Da qui la condizione di un popolo e delle genti a farne parte; da qui i governi a deciderne le sorti; da qui le esternazioni pro o contro le più varie; da qui lo strafottersene di chi momento per momento, con un gradiente di godibilità e responsabilità crescenti si trovasse alla fine ...

all'apice di questa comune catena dei maramaldi!.