“ … morituri te salutant …” - di Francesco Briganti

08.01.2014 07:58

Quante migliaia, forse milioni di persone sono morte nell’arena del Colosseo?; e perché veder morire, soffrire a volte straziate da bestie, ferali ed umane, della gente fa spettacolo tale da convogliare al suo assistere una moltitudine di gente?. E, come se non bastasse, perché tra un decesso e l’altro, tra una tigre ed un gladiatore, l’intervallo offerto nei ludes calmierava l’attesa senza suscitare l’indignazione, la riprovazione, il disgusto dei presenti?.
Altri tempi, altra concezione della vita, differente rispetto per la stessa, per il suo decorrere, per la sua fine: tempi barbari; tempi in cui la civiltà era agli inizi di una evoluzione che, nei secoli, avrebbe portato ai giorni nostri.
Duemila anni dopo, il Colosseo è un rudere meta di turisti e si potrebbe dire che è stato sostituito nella sua funzione dall’Olimpico, dal San Paolo, dal Meazza o dal Juventus Stadium. Sono arene nelle quali, tranne accidenti rari, non muore nessuno e dove, in teoria, si sfoga una settimana di passione son novanta minuti di soddisfazione o di rabbia e delusione. La morte e la sofferenza, dunque, non fanno più spettacolo.
La 7. Ore 21 del 7 gennaio 2014, Linea Gialla ed un presentatore, tal Sottile. Decine di ospiti, un pubblico attento, milioni gli spettatori, tranquillamente assisi su di un divano, in poltrona, magari cenando ad un tavolo imbandito tra un pollo arrosto o un tozzo di pane ed olio rispettivamente in una tranquillità serale o in una ennesima sera di un giorno preoccupato. Tutti ed ognuno davanti ad uno schermo Colosseo delle moderne morti, torture, persecuzioni, abusi, soprusi testimonianza del fatto che il passare del tempo trasforma i modi, ma non la sostanza. Le tigri ed gladiatori sostituiti da maiali in divisa, da ex suore o comunque cattive donne e pessimi uomini, entrambi troie frustrate, a percuotere bambini, giovani e vecchi, esattori, infami esecutori di ordini e leggi che assassinano persone già al limite della umana sopportazione senza nessuna pietà e comprensione. Con il sovrapprezzo, tra un ragazzo martoriato dai manganelli ed un bimbo percosso ed un arso vivo del: “ … subito dopo la pubblicità …”; perché lo scopo ultimo, in fondo, è sempre lo stesso. I SOLDI!.
Si finge il reportage, lo scoop giornalistico, la denuncia sociale; si titilla la sensibilità dei più ingenui, la partecipazione degli impegnati, l’indignazione dei ben pensanti e, nel frattempo si batte cassa, si vendono spazi a migliaia di euro al secondo, si ascolta il tintinnare del denaro che cade nelle tasche di questo e di quello a quintali e a tonnellate: “… pecunia non olet …”; “il denaro non ha odore” questo affermavano duemila anni fa e questa cosa non è cambiata!.
Ho assistito alla trasmissione suddetta sino all’ultimo secondo. Ho vissuto tutta la gamma dei sentimenti offerti e provati da ognuno dei protagonisti; ho schifato il corporativismo omertoso, lo sdegno del funzionario quello che “… ove fosse provato …”; il dolore di quelli che restano dopo una sepoltura. Ho appreso, quando ancora ce ne fosse bisogno, che la civiltà di un popolo la si vede dalle sue carceri; mi hanno ridetto che gli asili ed i ricoveri per gli anziani sono insufficienti ed il personale non basta e non se ne può assumere altro; mi hanno rivelato che lo stress colpisce poliziotti e maestri e assistenti in egual misura che gli altri; mi hanno fatto provare pietà e considerazione per quei miserabili, sì miserabili, cittadini che, dovendosi guadagnare uno stipendio, contribuiscono alla persecuzione ed alla morte di altri; mi hanno fatto riconsiderare gli strozzini di mestiere che non si camuffano dietro una legge di uno stato affamatore e vigliacco.
Non ho sentito una sola parola pronunciata nel senso di una rivisitazione ed un cambiamento dello statu quo.
Stasera Paragone e la sua “Gabbia”; domani Santoro e poi altri ed altri ed altre trasmissioni ancora e noi tutti li, beoti beati a plaudire e subire, a distrarci per non pensare, a non pensare per non ucciderci o uccidere.
Panem et circenses!. Duemila anni e siamo sempre lì!.