… nessuno, uno, centomila … - di Francesco Briganti

17.01.2015 14:06

“ … quelli come me che dovrebbero essere la maggioranza in “questopaesedelcazzo” non sono altri, invece, che una sparuta minoranza in una guerra che per altri non è così che si combatte “.

Durante la seconda guerra mondiale l’esercito tedesco rappresentava il top tra quelli a combattere: uomini decisi a tutto che, fedeli ad un ideale di patria e di leader e consci che il detto cinico e crudele secondo cui “in guerra ed in amore tutto è permesso”, non si facevano scrupolo delle peggiori atrocità pur di raggiungere il loro scopo. Fu per questo che sin dai primi sbarchi alleati in Sicilia la Wehrmacht, conscia che la guerra, a quel punto, sarebbe stata comunque persa, ipotizzò e realizzò la linea gotica, immaginario confine esteso dal Tirreno al Adriatico, onde rallentare se non fermare l’avanzata dell’esercito di liberazione verso il nord e l’est europeo. L’intento riuscì, almeno in parte, fino a quando, poi, la lotta partigiana non contribuì in maniera determinante alla resa dell’esercito occupante. I nazisti furono spazzati via e distrutti; non la loro idiozia e quella dei sempre imbecilli !.

Per chi ancora, dopo settantanni non lo sapesse, l’esercito partigiano non aveva divise, era male armato, non aveva quartier generali e non poteva contare su tecnologie particolari che ne coordinassero le azioni. L’esercito partigiano si muoveva per cellule, fruiva del passa parola, colpiva in modo estemporaneo, ma continuo; logorava il nemico giorno dopo giorno e contò caduti innumerevoli. L’esercito partigiano era costituito da uomini e donne che, abbienti e non, ignoranti ed istruiti, nobili e plebei, credenti o atei, etero o omo, misero in gioco tutto a cominciare dalla vita in nome della libertà. L’esercito partigiano fu la ragione per cui questo paese non seguì la sorte della Germania mantenendo l’ITALIA agli ITALIANI. Quelle donne e quegli uomini non erano, allora, altro se non quello che chiunque di noi è oggi: persone comuni!.

Mao Tse Tung era il figlio di contadini benestanti; fruì di studi da istitutore prima di venire a contatto con le prime cellule marxiste che nascevano nella Cina del dittatore Chiang Kay-shek; in risposta agli eccessi perpetrati sulla popolazione Mao fondò una repubblica sovietica sul territorio cinese, ne divenne presidente e, sottrattone il controllo al Partito comunista cinese ed al Komintern, impose la propria linea al partito e cominciò quel lungo cammino che avrebbe fatto della Cina ciò che poi è oggi. Questo anche considerando la lotta comune fatta con Chiang kay-shek e vinta contro i giapponesi, la successiva guerra civile con la definitiva defenestrazione del alleato anti comunista a Taiwan, e le periodiche restaurazioni, revisioni e definitive rimozioni che negli anni hanno caratterizzato la storia cinese. Detto in estrema sintesi ci si può chiedere oggi se una Cina potenza mondiale capital socialista, (cosa non si riesce a dire associando due parole), sia merito di quel contadino cinese o di quelle persone comuni che lo ispirarono, lo seguirono e gli dettero forza. Una delle frasi più celebri di Mao resta quella trasposizione del detto latino che recita: “ Unum castigabis, centum emendabis” e cioè “colpiscine uno per educarne cento” che non è la traduzione letterale, ma rende molto bene l’idea di quanto una estremizzazione possa far danno. Di Mao Zedong, oggi, se ne ricordano solo i nostalgici.

Le guerre non si fanno!; esse sono il rimedio peggiore che si possa trovare ad un male. Ciò detto, però, le guerre si continuano a fare e, anzi, alcune si devono o, quanto meno, si dovrebbero fare quando non fosse possibile altra soluzione. Attraverso di esse, in particolar modo per quelle ad usum delphini, si spacciano per vere delle assurdità incredibili alla più elementare delle intelligenze ed è per questo che occorre, ai padroni del vapore, avere di fronte genti e non persone. La differenza tra le “genti” e le “persone” è la stessa che passa tra chi sente senza ascoltare e chi invece ascolta: la differenza sta, dunque, nella capacità di critica individuale che ogni persona ha e che nelle genti è invece indotta con ogni mezzo possibile onde guidarne ed indirizzarne in modo prevedibile e interessato la condotta e la direzione.

Quindi le guerre !. Qualsiasi militare sa che una guerra dovrebbe essere breve, arrecare il massimo danno al nemico con il minor rischio e, sopra tutto, deve essere risolutrice; ogni deroga ad una di queste condizioni non risolve, ma inasprisce i problemi. Dunque il nemico va colpito lì dove fa più male, in maniera intensa e dura, fino a fiaccarne la resistenza ed a piegarlo alla legittimità di un vero e giusto intervento.

Le guerre le fanno le genti, ma dovrebbero farle le persone sopra tutto quando sono di liberazione e di riscossa interna e riscatto sociale; giacché ed in questo caso, non sarebbe necessaria, a priori, la presenza di un capo comune, un Mao o fatte le debite proporzioni un Grillo o un Renzi tanto per intenderci, non servirebbero coordinamenti e, per le più giuste tra esse, non c’è bisogno di armi, forconi, bastoni, televisioni o vaffanculo; devono essere presenti solo determinazione, coraggio, dignità individuale e coscienza di un proprio stato di bisogno che degenera dalla umana legittimità; ognuno diventa un combattente partigiano, con la propria via ed il proprio obiettivo fino a che i tanti ciascuno impegnati non diventano un moto di popolo che solo successivamente potrà e dovrà essere incanalato in un risultato comune.

I cambiamenti e la rivoluzione di un sistema sono attuabili solo e se ispirate dalla verità e se partono dal basso e da esigenze che, pur se diverse, siano non solo condivisibili, ma anche condivise al punto da generare, poi, unione ed unità d’azione .

L’altrimenti, la storia lo dice, non favorisce che il caos e/o una restaurazione feroce.