… no fly zone … - di Francesco Briganti

13.03.2015 09:00

Ho scritto spesso della grande distesa erbosa che c’è nei pressi di casa mia. Ricoperta di brina che sia o risplendente di un verde smeraldo che dal banale e ed opaco passa al clamoroso e riverberante nel mentre che cresce il sole di primavera, è sempre uno spettacolo per gli occhi, per il cervello a riceverne la rappresentazione, per il cuore ad assaporarne le sfumature. Questo prato, grande all’incirca quanto un campo di calcio, è una pista di aeroporto; vi atterrano e partono, vi sostano, si rincorrono e si sfuggono uccelli di ogni genere: merli canterini, cornacchie ad inseguire piccole lucertole o arvicole coraggiose e mattiniere, piccioni e tortore danzanti, falchi in picchiata a ghermire qualche nutria imprudente, qualche passero solitario a far da “spulciaggio” ad un poni in libera uscita o a qualche pecora viandante e solitaria, improvvisa preoccupazione di un pastore distratto. Chi avesse voglia di godersi una decina di minuti di assoluta pace celeste non avrebbe altro da fare che sedersi e lasciarsi andare alla propria, da quel momento indotta, beatitudine.

Nell’atmosfera magica, rilassata e riposante dell’alba odierna, mentre nel cielo lentamente spariva Venere, ultima dea notturna, e ad est il rosso brillante di un astro nascente andava a infuocare le cime delle colline in quel verde sempre più chiaro, leggermente mosso da ondulanti spinte ventose, tra l’erba fluttuante come le quotazioni del dollaro a Wall street, dei corvi, neri per natura quasi a malaugurio, stazionavano, in cagnesco l’uno con l’altro, quasi aspettassero un segnale per dare inizio ad una cruenta tenzone fratricida. Immobili, statue animate solo per chi li avesse visti arrivare, letteralmente sporcavano, come macchie di peccato un’anima, quella distesa non più da gustare alla vista, ma a rendere un sentimento di sottile timore, una strisciante sensazione di pericolo: come fosse un neonato bisognoso di un battesimo a lavacro oppure un uomo morente atteso all’ultima, estrema, unzione.

L’Italia è quel prato; neonato o moribondo che sia, su di essa stazionano gli stessi corvi neri; sono lì, ognuno li vede, pochi li guardano, meno si interrogano, una sparuta minoranza li riconosce per quello che sono realmente: delle lacerazioni profonde viepiù infettatesi e infettanti man mano che i giorni passano senza nessuna terapia dirimente a renderle innocue e non causa prima di una cancrena madre di una sepsi mortale.

Il primo corvo è una sentenza della Corte Costituzionale: chiara, cristallina, esaustiva, essa dice che il porcellum è incostituzionale e, dunque, come in seguito ad ogni diniego della consulta i suoi effetti sono incostituzionali e tutto ciò che deriva da quegli effetti lo è a sua volta.

Il secondo corvo è una omissione da parte di un parlamento effetto di quel porcellum: le mancate dimissioni in blocco di mille e più illegittimi assisi, la cui distribuzione in quota parte è figlia spuria di un premio di maggioranza senza valore e dunque senza effetti.

Il terzo corvo porta il nome di un presidente che, volendo sentirsi aquila e stravolgendo ogni legge fisica del volo, violenta il concetto stesso di tradimento, non solo parte destinazione dimissioni, ma si appropria del diritto di decidere i piani di volo di ogni altro uccello a sorvolare il suo, a quel punto personale, aeroporto; nominando e sostituendo a proprio piacimento, i capi in turn over tra i possibili controllori di volo.

Il quarto corvo è l’ultimo di questi controllori; non avendo nessun brevetto a consentirgli i gradi di pilota, è quello che accetta comunque la situazione ed anzi ne assume il controllo unico arrampicandosi sullo specchio sporco e viscido di un consenso mai sincero quale che sia la parte da cui viene il “FLY” necessario per farlo continuare.

Il quinto corvo, quello più nero e minaccioso, è il più vecchio ed il più satiro tra i presenti. E’ un corvo che viene da lontano, che è ispirato da trame antiche nel tempo, nefaste nelle complicità, velenose negli svolgimenti, putride nella odierna rappresentazione personale la quale, per quante piume di struzzo abbia a camuffarne il sembiante, lascia intravedere uno sfascio fisico e morale al cui confronto un cadavere verminoso e maleodorante sembra il bouquet di una sposa.

L’ultimo corvo è in realtà l’ultima ed infima componente di uno stormo infame; ma è, in fondo, l’unico colpevole vero di quello che sarà l’ultimo delitto: il proprio suicidio. Quel corvo le cui penne, nere nel insieme superficiale, sono di vari colori e di varie nature aliene allo stesso organismo cui sono attaccate e dal quale sembrano spuntare. Quel corvo ha un corpo polimorfo e cangiante, composto da milioni di cellule, ognuna per sé in una commistione variabile, nei modi e nelle sinergie, che non permette nessuna partecipazione, nessuna adesione se non fittizia, di maniera o di convenienza con i primi e padroni cinque uccelli, padroni assoluti ed illiberali di un vapore senza più controlli.

Quel ultimo corvo siamo Noi; siamo quegli italiani che, ingenui, complici, mandanti, asserviti o protestanti restiamo immobili nel prato forse in attesa che scenda di nuovo la notte nella cui oscurità …

confonderci e perderci definitivamente.