… non so che viso avesse né come si chiamasse … - di Francesco Briganti

10.05.2015 09:17

2015. Maggio. Primavera inoltrata. Domenica mattina.

Esco e mi inoltro lungo la via tra i campi verso una meta abituale: un cappuccino bollente ed un cornetto ad esaurire il rito di ogni mattina. Dal terreno si alza fitta una foschia densa, umida, ovattante. Il tuttuno al di sopra della mia testa nasconde uccelli canterini a richiamare un sole che sembra poco voglioso stamattina; le cose, le case, gli alberi, le siepi appaiono e scompaiono improvvise nel mentre che le avvicino e le sorpasso; non si vedono rondini a giocare ed a rincorrersi in quel cielo intuito e basso come una cappa; lontano un nitrito e, ritmato, uno scalpitare a rendere evidente qualche cavallo a pasturare: a mezza costa tra l’asfalto ed il nulla l’insegna del bar mi viene incontro quasi sia essa a muoversi piuttosto che io a procedere nel cammino.

Non ho voglia di parole; saluto e porto la mia colazione fuori nella resede; due tavoli vuoti, scelgo quello più esterno e, quasi invisibile, sorseggio e mastico, mastico e sorseggio; al mio fianco il tazebao de “la Nazione” e de “ il Tirreno”; una occhiata distratta nel mentre che un sorso bollente ed invasore scende caustico lungo la gola e rischia di strozzarmi facendo a pugni con l’aria invertendosi ad essa nello scendere lungo la trachea. Lascio allo sdegno dei polmoni ed alla rabbia delle corde vocali la scelta del attributo con il quale onorare, questa volta, la maremma. La nebbia è sempre più fitta ed il sole sempre più latitante; sembra un mafioso di cui si avverte la presenza ed il potere nel mentre che uno stato impotente finge di non accorgersi di nulla. Lancio un “buona giornata a tutti “, e sembra più una minaccia che un augurio, due passi dopo essermi avviato al mio ritorno.

Un gatto sembra attendermi per attraversare; mi squadra indeciso se temermi o lasciarlo indifferente, poi, evidentemente annoiato da un altro di quegli esseri a due zampe che rompono di continuo la sua regalità, s’arrampica lungo una rete e così come era comparso sparisce atteso a faccenda completamente aliene a quel mondo che non fosse il suo; passo dopo passo si fa strada tra le mie orecchie, spazio mai vuoto come stamattina, quel terzo di locandina che a caratteri cubitali annuncia al mondo dalle pagine del giornale livornese che “ … CRESCE L’ATTESA PER IL DOG PRIDE “.

Amo gli animali; ho un dobermann blu che è uno di famiglia; ne sono orgoglioso e, quando avessi bisogno di un po’ di calore umano e lì che vado a cercarlo, è lì che lo riverso quando ne traboccassi, cosa rara, e se voglio uno scambio con un amico è a lui che mi rivolgo. Mi ascolta, felice anche solo del suono della mia voce, scodinzola festoso, restituendo quel affetto che prova anche quando ne fosse stato privato dal immenso egoismo di una vita quotidiana sempre più stringente, accalorata, affaticata, stanca più di ieri e meno di domani.

Amo gli animali!, ma che un giornale, a pretesa d’essere a tiratura anche solo regionale, per vendere più copie, annunci come attesa dirimente l’orgoglio canino, a me, sembra una stronzata quando non fosse una dichiarazione di resa ad una realtà rionale che vede la gente, non le persone, sempre più distanti da una informazione su carta decisamente sconfitta da quella più semplice e meno faticosa da fruire quale la mediatica della rete, della radio e della televisione.

Chi ascolta ciò che viene raccontato ne subisce il suono più che comprenderne il significato. Si adatta a ciò che più gli sembra vicino al proprio sentire e lentamente si auto conserva in quel mondo affine finendo per identificarsi con esso ed è in quel momento che quel suono diventa suadente in maniera sub liminale ed ogni fandonia anche la più astrusa ed immaginifica sostituisce la realtà vera contribuendo ad un isolamento per gruppi che consente a quei gruppo di continuare una esistenza utile non ai tutti, ma solo ai gestori dei tutti. Ed ecco che un pensionato al minimo, un disoccupato, un cassaintegrato spende il proprio consenso per chi di quel consenso fa un uso del tutto opposto agli interessi stessi di chi quel consenso ha espresso.

Chi legge fa fatica. Leggere costa impegno e l’impegno richiede applicazione; l’applicazione ha bisogno dell’attenzione e quest’ultima necessita del pensiero. Il pensiero stimola l’analisi, l’analisi fa scattare il ragionamento ed il ragionamento le deduzioni e la critica; alle deduzioni ed alla critica segue, gioco forza e spontanea, una conclusione; il tutto rende una persona libera dai condizionamenti e dalla oppressione di chi, temendola come un proiettile diretto al proprio cuore, avesse paura della libertà intellettuale figlia del pensiero libero e madre dell’uomo libero.

Ed ecco allora che, sulla soglia di casa, mentre ancora la nebbia opprime ogni cosa e Doug uggiola felice per il mio ritorno, il titolo di quel giornale più che una resa ad una realtà rionale è un adeguarsi e mi appare esattamente per quel che è, per quel che serve, per l’assolvimento di quel compito infame che è distrarre tutti ed ognuno da quelle vicende, ognuna delle quali, sola basterebbe a squarciare il culo a ciascuno di quelli che comandano ...

senza diritto e senza governare veramente!.