Notte di San Lorenzo … - di Francesco Briganti

11.08.2013 08:47

Domenica mattina. E’ fresco!, la temperatura, da buona cristiana, avvisa che oggi sarà dura, ma per il momento si limita a questo. Qualche farfalla a spasso per fiori, qualche cinguettio parso, il cane a scodinzolare in attesa di quel tozzo di pane duro, per il quale, ogni mattina, sacrificherebbe la coda ed ogni nipotina straniera se solo conoscesse anche quell’infimo livello. Tutto è pace; pochi rumori ed il sottofondo degli altri giorni tarda a manifestarsi. Leggero ed invitante qualche aroma di caffè trapela dalle finestre aperte, timida una radio diffonde musica italiana, ed il giardino profuma di terra ancora umida della notte appena trascorsa. Nell’aria la fantasia di un profumo, quello del mare e del bisogno di una vacanza, entrambi troppo lontani per essere qualcosa più di una immaginazione. La siepe, comune a più giardini vicini, fa del borgo quasi un agglomerato di isolette, ciascuna a vista delle altre, ognuna porto privato e certo di una singolare privacy, a volte necessaria, oltre l’effettiva esigenza. Solo pochi anni fa la vita era diversa; sopra tutto d’estate, ogni esterno era un divenire continuo di vita che dal chiuso si trasferiva all’esterno: dai barbecue, modelli originali o estemporanee costruzioni fantasiose, si alzavano gli aromi di carne o di pesce lasciati ad assaporarsi alla brace lenta di legno d’ulivo o di quercia mentre si spandevano il mirto frammisto all’aglio ed al lauro ed alla salvia a creare un’intimità diffusa dell’uno a dire all’altro: “… stasera tocca me …, ti accodi? “. Quante volte da un giardino si passava al’altro mescolando, aggiungendo quello che da una tavola poteva accodarsi e dividersi con l’altra. Nessun imbarazzo, nessuna remora. “… Che mangi stasera? … Noi stiamo preparando …”; “ … Ottimo, venite di qua, ho del Chianti che levati …”; e si tiravano l’una, le due di notte, parlando, ridendo, e smoccolando una parola sì e l’altra pure come è d’uso comune in questa terra toscana, patria per scelta e per antica genesi familiare. E mentre gli uomini sproloquiavano di politica o di calcio o di donne, queste ultime lo facevano dei mariti infingardi, delle ultime dicerie, dei figli che crescevano. I cani, amici di coda e di fiuto, partecipavano alla festosità generale, l’uno abbaiando all’altro attraverso le siepi un bau “ … qui tutto va bene …”, a cui rispondevano a inseguirsi i tanti “ … anche qui …” che nel giro di secondi ricordavano agli umani il gesto del lancio di un osso, di una carezza affettuosa, di un “ … stai zitto, bastardone che non sei altro …!” altrettanto amorevole come il pane o l’osso da spolpare. E la notte di san Lorenzo, all’unisono tutte le luci venivano spente di modo che ne disturbassero la visione di qualche stella cadente che nel suo andare realizzasse il sogno sognato più fantasioso ed impossibile. Oggi stelle cadenti non ve ne sono più; i giardini sono silenziosi, pochi profumi egoistici si spandono quasi con la vergogna dell’essere esempre più radi sono gli inviti dell’uno all’altro nel timore che questi o non risponda o proprio non possa aggiungere o dividere ciò che forse non basta o neppure ha. Anche le facce degli uni e degli altri sono diverse; quei visi attesi al sorriso, comunque ed a prescindere, si mostrano segnati da rughe profonde di cervelli afflitti quando non addirittura tormentati; gli occhi motrano borse cariche di notti insonni e giorni difficili di preoccupazioni per l’oggi che al domani ci si penserà domani e quando ci si incontrasse in un remake di sere passate, uomini e donne tacciono per lo più o litigano in funzione di una speranza politica che, da diversa sponda, comunque non mostra di saper approdare in nessun porto possibile. I cani continuano ad annusarsi attraverso le siepi, ma lo fanno con diffidenza e sospetto e i loro rumorosi conciliaboli stanno più a dire “ … fate attenzione … questa è la mia zona …” in un allarme generale non più voce tranquilla a rasserenare l’insieme. Il tempo passa; per tutti ed anche per me!. Tra poco saranno sessantuno gli anni di vita; e mi capita sempre più spesso di perdermi nei ricordi degli anni più giovani; nelle memorie dei vecchi amici persi o passati a quella miglior vita di cui tanto si ciancia e di cui nessuno è sicuro; dei vecchi amori, comunque malinconici anche se non migliori o peggiori dell’esistente; di passate occasioni sfruttate o lasciate per strada; dei tanti rimpianti e dei tantissimi rimorsi che hanno fatto e fanno di un bimbo, un adolescente e quindi un uomo o una donna cresciuti nella speranza di una vita da costruire da fondamenta ideali e di sogno e che si ritrovano, oggi, in una desolata subita concatenazione di fatti, con una sola speranza ed un solo futuro: quale che siano, PUR CHE SIANO!.