… nuvole … - di Francesco Briganti

25.07.2015 08:57

Lampeggia!. Lampeggia e tuona!. Ad est, lontano, sul mare. Il cane guaisce e si agita temendo sfaceli che non verranno; lo faccio entrare in casa: si sistema ai piedi del divano e mi guarda dubbioso chiedendosi se questo gli impedirà di avere la sua doppia razione di pane duro mattutino e da sgranocchiare agitando una coda felice. Sorrido e lui sa che non ne resterà deluso.

Lampeggia e tuona. Cupi rimbombi si affacciano a seguire squarci di luce ad aprirsi nel cielo; i ventisei gradi di temperatura sembrano la panacea di un soffocare fino ad ieri sera a comprimere polmoni afflitti da decine di sigarette giornaliere. Le cinque e venti del mattino, stancamente ad est un alba estiva già ritarda di una mezzora il proprio venire al mondo; la notte sta ricominciando a pretendere il suo allungandosi sempre più nelle ore mattutine.

Il silenzio dell’intorno è totale. E’ globale, non un suono, non una luce dalle finestre, non un battere d’ali o un cinguettio a rivelare invisibili presenze: l’aria è ferma ed in attesa. Forse una promessa di pioggia diventerà certezza a rinfrescare come un sorso di una bevanda gelata al culmine di una giornata infuocata. O forse no!.

Scorre la mano sul viso, la barba è lunga ed ispida; scivola tra i capelli, crespi, una volta ricci e neri, ora sono un pagliaio bianco che deve essere assolutamente sfoltito: ho deciso, stamane visita a Stefano e taglio deciso appena un gradino prima dell’esperienza marine. Mi guardo intorno; troppo presto per includermi nel club delle sei by la Tiziana nazionale; troppo stralunato per godermi una passeggiata tra i campi; troppo disincantato per continuare a leggere “Ammazziamo il gattopardo”; troppo di troppo per sentimi in pace con me stesso.

Un gallo canta un risveglio attardato nel silenzio sempre più strano man mano che s’allarga l’azzurro sopra la mia testa; rumori di veicoli lontani raccontano di gente già indaffarata a correre verso un lavoro sempre più miraggio o di persone festaiole di ritorno dalle bisbocce di un venerdì sera premio e soddisfazione di una settimana senza più preoccupazioni oramai passata e passato quale che fosse.

Una sirena d’ambulanza va verso un bisogno o corre a dirimerne uno verso un ospedale mai sonnolento in quel di un pronto soccorso pieno di attese sofferenti e sforzi immani a sopperire carenze di mezzi e di organici. Niente come la notte in un ospedale, fosse da infermo o da attesi al servizio, rende meglio l’idea di quanto “questopaese” sia al suo sfascio più prossimo e definitivo.

Esco; mi attardo in giardino mentre un Doug premuroso ed in attesa mi segue affiancandosi; la sua coda a giostrare sferza l’ortensia rinsecchita nonostante il fiume che le riverso addosso ogni sera; i gerani sembrano appassiti; la siepe di rosmarino non manda il suo solito ed intenso profumo; l’erba è alta, andrebbe tagliata se solo me ne rimanesse la voglia!.

Il barbecue è un inutile monumento a cene improvvisate ed all’aperto: troppo caldo per accendere un fuoco anche alle dieci di sera e, dunque, dà una sconsolata mostra di sé ad ergersi quale memoria ai caduti polli, cosciotti e bistecche più ricordo lontano che prospettiva di un futuro imminente. Icona, diffusa e condivisa, ricorda che pioggia o calura, quella che manca oltre la voglia è la possibilità di tempi sereni.

Giro intorno la casa; il cancello sulla strada rimasto aperto sembra invitarmi ad uscire; il club delle sei lì dove Tiziana tra poco apre i suoi battenti; il cesto con le leccornie “maritozziche”, con i budini di riso, con imitazioni di sfogliatelle sarà già fuori la saracinesca; improvviso il ricordo dell’università quando sfrontati e ribelli giovanotti di belle speranze ci attardavamo a depredare in quel di via del Proconsolo o di via dei Servi, una Firenze d’altri tempi, bar fiduciosi ed ingenui.

Un’altra epoca di un altro mondo, forse di un altro universo: uno all’improvviso deviato da suo corso normale per finire dentro ad un altro prodromo di un inferno mai previsto tanto da non essere nemmeno temuto.

Rientro; lampi e tuoni sono passati oltre senza lasciare traccia; Doug rivendica a colpi di muso sulle gambe i suoi pezzi di pane; mi ha fatto compagnia e pretende il proprio guiderdone. Lo lascio sull’uscio raccomandandogli una guardia non necessaria; risalgo a ripagare la sua affettuosa e perenne presenza; “ … piano … “ intimo porgendogli la realizzazione del suo sogno mattutino “ … sii delicato …”; avvicina quasi timido la bocca di dobermann alla mia mano e con la leggerezza di una Fracci raccoglie il pezzo di baguette che ritma la frenesia della sua coda.

Vado a radermi.

Chiudo la porta mentre lui svaccato sull’erba sgranocchia felice in un mondo tutto suo e senza problemi.