... pensavi fosse amore ... - di Francesco Briganti
Mi domando, oramai sempre più spesso, che senso ha una esposizione personale su di un network, social o quale che sia, non per godere di aspetti ludici o per promuovere una qualche posizione, ma semplicemente per tentare di essere utili a qualcosa, fosse pure, solo al proprio egocentrico bisogno di espressione. Quando si parla, ed a maggior ragione, quando si scrive con ed a qualcuno si pensa, almeno a me capita così, di farlo perché questa dimostrazione di esistenza sia comunque accettata e, a volte, persino attesa: insomma, si fa, o si crede di farlo, in funzione di un rapporto scambievole di attenzione e partecipazione.
Succede di accorgersi, di tanto in tanto, che il proprio dire ed il proprio fare siano addirittura di fastidio a qualcuno e quando questo succede, quando quel qualcuno non nasconde quel fastidio che ha provato ed anzi te lo sbatte in faccia, senza nessuna preoccupazione per quello che ti muove o senza curarsi dell'effetto che la cosa potrebbe avere su di te, il mio primo pensiero è : " ... vuoi vedere che sto esagerando e che sarebbe ora di smetterla ...? "ed un senso di frustrazione e mortificazione mi assale ingombrante e pesante.
Per indole sono portato a pensare, sempre e da sempre, di essere una persona fondamentalmente votata alla solitudine. E' questa una condizione paradisiaca: non devi dar conto a nessuno; non devi preoccuparti di nessuno e di nessuna cosa; la libertà di azione e di pensiero è totale; il mondo circostante, l'intorno personale, è una funzione di te ed il "viceversa" non è qualcosa di condizionante: ogni avvenimento scivola sulla pelle senza lasciare segni, positivi o negativi, tali da divenire tatuaggio indelebile .
Succede che alla condizione di "solitudine" ci si arrivi perché costretti dai fatti della vita; allora ci si costruisce attorno un muro impermeabile ad ogni cosa e ci si crea un mondo artificiale e fantastico pur nella sua normale quotidianità che diventa il proprio intorno privatissimo nel quale non ci sono ingressi liberi, ma solo aperture temporanee, saltuarie e parziali, da cui fare entrare gli altri quando e solo il tuo stesso egoismo ne senta un vero ed estremo bisogno.
Succede, anche, che improvvisamente qualcuno degli altri provi a convincerti che il tuo particolare ed artificiale paradiso sia un modo sbagliato di vivere ed affrontare il mondo; succede che riesca a fare breccia in quel muro e persista sino al suo abbattimento rivelandoti, nuovamente, un "altrui essere" a cui avevi rinunciato, rifiutandolo, ed al quale non eri più abituato o non avevi mai creduto; succede, perciò, che le tua difese cadano e la tua vulnerabilità aumenti in funzione direttamente proporzionale alla voglia, mai avuta o riacquistata, di rapportarti con l'altrui essere.
Il cinismo raggiunto o genetico che fosse si perde, la sensibilità alle cose, tutte, diventa estrema ed ogni cosa, anche la più piccola, bella o brutta che sia, incide, quale colpo di frusta, sulla tua pelle fisica e mentale; ogni gioia è al massimo godimento, ma ogni illusione delusa è, altrettanto, al suo acme peggiore. Alla fine questa tua ipersensibilità, prima sconosciuta o ritrovata, ti fa rimpiangere la condizione precedente, al punto che cominci a denunciare ed a lamentarti per ogni particolare che non ti stia bene finendo per considerare responsabile di tutto chi ha abbattuto quel tuo muro privato.
Dall'altra parte, ogni tua manifestazione di messa in evidenza o di semplice discussione diventa una sorta di "pippone" da Savonarola dei poveri e si ritorce contro di te che diventi: "il pazzo", il "filosofo da strapazzo"," il visionario", "loscrittoredicitore" di pipponi, il fratello, il coniuge, l'amico, l'amante, il padre, comunque sia, un rompicoglioni: l'assillante controparte di cui, alla fine, si farebbe volentieri a meno.
L'altrui essere, ti accorgi, non si chiederà mai il perché delle tue ragioni, le trova fastidiose a prescindere senza mai domandarsi se non è nel proprio fare e/o dire e/o nell'andazzo generale, la causa di quelle ragioni e, nel frattempo, tu non puoi farci niente, giacché sei diventato incapace di, o forse non vuoi più, ricostruirti attorno quel muro a difesa del tuo essere ...
... ed invece era un calesse!.