… pensieri, opere ed omissioni … - di Francesco Briganti

05.09.2015 09:51

Il mio primo impatto con la scuola è stato in un istituto di monache. Scugnizzo allo stato brado, di più, selvaggio, ho fatto le elementari e per cinque anni, letteralmente prigioniero di una maniaca, allora tale mi sembrava, che si chiamava Claudia, suor Claudia. A pensarci oggi, non doveva essere granché anziana ed anche se allora mi sembrava fosse la befana in persona, credo avesse non più di trenta, trenta cinque anni. Maniaca giacché il suo modo più materno di educarci era quello degli scappellotti a raffica, certi schiaffoni a volte, e delle bacchettate, quante ne ho prese, sulle mani. Ho un vago ricordo di quell’istituto: ad angolo ed a qualche centinaio di metri da piazza sant’Erasmo, verso san Giovanni a Teduccio, era una grande palazzina di tre piani, che ti accoglieva all’ingresso con una sorta di chiesa privata in cui ogni ragazzino doveva, entrando per le lezioni, obbligatoriamente fermarsi, recitare una preghiera per poi raggiungere la classe.

Credo sia stato in quei momenti che io ho cominciato a rendermi conto di quanto ingovernabile fosse il pensiero.

Pasturati, come eravamo tutti, dalla presenza di un dio che tutto sapeva, tutto vedeva e onnipresente ovunque tu fossi, cercare di concentrarsi nell’orazione per non arrecargli dispiacere era uno sforzo sincero e sulle prime desiderato e quasi ascetico, ma, passate le prime volte, avuto il coraggio la prima volta di alzare lo sguardo su addobbi ed arredi, scambiata la prima parola con un compagno parimenti ardimentoso, lo sforzo diventava sempre più un’impresa per finire, alla fine, per essere del tutto disatteso e finto. In quella chiesetta e già dalla seconda elementare, ciascuno, alla fine, letteralmente pensava ai cazzi propri, sopra tutto avendo scoperto, eravamo classi miste, che la compagna di banco o quella della classe a fianco, ti guardava e/o ricambiava il tuo sguardo con tutto quello che questo procurava come opere ed omissioni, se non altro, riguardo alla verità. Quel dio, sin da allora e perciò e nonostante le minacce di infernali inferni, cominciò a rassegnarsi al non poter aver controllo del pensiero, delle opere e delle omissioni altrui; nemmeno nella propria casa ed al cospetto del suo santissimo e sacrificato Figlio.

Dunque posso dire di aver avuto otto o nove anni quando ho cominciato a capire che tentando di imbrigliare il pensiero e le sue conseguenze in leggi ed insegnamenti canonici che sembravano fatti a posta per essere disattesi, significava distruggersi in un mondo di auto flagellazioni e pentimenti; voleva dire condannarsi ad una rinuncia continua; sanciva la punizione di un addio ad un mondo che sino a quel momento ti aveva visto puledro di razza correre per i gran premi della vita addirittura senza fantino o, e meglio ancora, da fantino su di un cavallo cavalcato a pelo.

La conclusione, maturata tra uno schiaffone “claudiano”, qualche pentimento subito ritrattato, capisciamme!, qualche nuova esperienza subito gustata e cercata di nuovo, fu che non poteva esistere un dio che fosse così poco realista da non capire che considerare il libero arbitrio come tale solo nella possibilità di obbedirgli era come dire ad uno scugnizzo: “ … gioca pure a pallone, ma non sudare …! “. Non era difficile, era impossibile!.

Il pensiero a seguire, man mano che si cresceva nell’età e si andava maturando qualche interesse verso altri “ credo religiosi “, se ne leggeva e ci si informava, era che se quel dio, invece, esisteva, allora voleva dire che tutti i suoi intercessori in terra l’avevano “cacata alla grande”, perdonate il francesismo, nel raccontarlo, nell’interpretarne i desiderata, nel mostrarsi in un modo e nel comportarsi in un altro; non era il dio, allora, ad essere inesistente, troppo invadente, pretenzioso e, addirittura cattivo, ma erano i Suoi ministri a non averci capito un cazzo o a fottersene alla grande. Potevi ritornare a credere in qualcosa di trascendente che potevi immaginarti a tua somiglianza pur partendo da quegli insegnamenti di quell’uomo morto su di una croce.

Il concetto di Dio, ritornava ad essere accettabile.

Oggi, io credo in un dio unico, uguale per tutti e comunque, ovunque, chiunque lo chiamasse. Per quanto la scienza mi, ci abbia spiegato cause ed effetti, a me piace pensare che la mia esistenza ultima non sia solo una casuale contemporaneità di circostanze fortuite, ma sia la diretta espressione, fosse pure evoluta sino ad oggi in millenni di trasformazioni susseguenti, di una volontà Superiore e primigenia. Mi piace credere che il libero arbitrio è veramente tale e che ciascuno sceglie e si crea la propria strada ed i propri obiettivi; mi conforta pensare che se questo è il mondo e la situazione da vivere, non è detto che sia l’unica possibile e che non sia perciò mutabile in meglio: posso estendere di conseguenza questa conclusione ad ogni aspetto dell’esistenza e posso trarne le lezioni sufficienti a rendere viva la mia soggettiva capacità di azione in ogni direzione e in ogni campo dello scibile.

Se il pensiero può dare ragione di ministri fasulli di un Dio Vero, allora attraverso il pensiero di ognuno di noi, le nostre opere e/o le nostre omissioni, noi tutti possiamo diventare dei in terra e costruire su di essa il nostro paradiso; dobbiamo, solo e finalmente, deciderci a cacciare a calci in culo …

quei falsi gestori che, quel paradiso, adesso governano!.