PIRAGNA - di Francesco Briganti

09.07.2013 20:08

Nella foresta pluviale Sud Americana c’è una notevole varietà di vita animale ed umana; quest’ultima ha consacrato la propria esistenza adattandosi alle estreme condizioni oggettive in cui si è sviluppata e continua ad esistere. L’età media dei tanti non è molto alta e le ragioni per cui sono tutte di facile individuazione e quando questo proprio non riuscisse ai più menefreghisti tra gli egoisti, basterà loro pensare alla assoluta mancanza di cure mediche adeguate per avere una certezza non opinabile. Eppure, questa umanità priva di televisori, scuole, tribunali e medici, ha saputo imparare dalla natura circostante alcuni tra i rimedi più efficaci per tirare avanti ed ha, anche, saputo cogliere quegli spunti necessari per far diventare una causalità in una esperienza da sfruttare. Su tutti come esempio valga la somministrazione di alcuni tipi di veleni in dosi viepiù crescenti fino a raggiungerne la completa immunità. Queste popolazioni camminano scalze nei luoghi più impervi e traditori; hanno condizioni igieniche che viste dal nostro standard sono del tutto inesistenti, vivono in una promiscuità elevata all’ennesima potenza, ma hanno regole sociali e di rispetto reciproco degli uni con gli altri che noi, popoli civili, nemmeno riusciamo ad immaginare. Ora io immagino in una terra, mettiamo come quella in cui si svolge la trama del film “Mission” (bellissima la colonna sonora, ndr) un capo villaggio che, solo perché tale, riempia il consiglio della tribù dei suoi sgherri più fedeli, si circondi delle donne più facili tra quelle presenti e pretenda che la loro incondizionata approvazione sia considerata legge da tutti quanti gli altri. So per certo che una freccia al curaro nel bel mezzo della fronte sarebbe la sua sorte dopo non più di una sola singola cazzata del genere. Nella giungla pluviale italiana, quella in cui tutti noi viviamo, le condizioni sono identiche sia come igiene, sia come scuola, sia come sanità, sia come etica politica quando volessimo rapportare i nostri standard non già a quelli dell’Amazzonia, ma ad uno qualsiasi dei paesi europei, Noi, però, non abbiamo imparato nulla dalle casualità, non ne abbiamo fatto esperienza, ed anzi le peggiori casualità le abbiamo fatte diventare modus vivendi, prima invidiandole, poi giustificandole, indi imitandole fino a farle diventare fede indiscussa di una buona parte di questo popolo dal quale, unica fortuna ancora da considerare tale è che non partono, e meno male che non ne abbiamo, frecce al curaro. Ora accade che nella palude Italia un capo tribù, comunque immune a qualsiasi veleno ed alle statuette votive, sia stato giudicato colpevole in varie gradi di giudizio di più reati e capita che per uno di questi si sia decisa la data dell’estremo grado di giudizio al prossimo trenta luglio cioè dopo non molto tempo dalla sentenza d’appello. Succede ancora che i cortigiani di questo capo tribù facciano un baccano del diavolo nel lamentarsi della celerità con cui la giustizia vuole ucire in maniera definitiva da questo letamaio berlusconiano. Ora non vorrei ricorda l’invenzione del processo breve, quella del processo lungo, la accorciata prescrizione, il rifiuto delle testimonianze rese in altri processi, l’assenza per giusta causa, le ricusazioni dei giudici, i testimoni pagati, i giudici corrotti, le puttane mantenute a stipendio e perfino quei parcheggiatori ricoperti d’oro così tanto per non scontentare nessuno; non vorrei, dicevo, ricordare queste cose, ma, avendolo fatto, lasciatemi confermare che non rimpiango le frecce al curaro ma lasci temi anche sperare che nel giorno del giudizio universale a lui, se condannato, o ai giudici se si sono fatti comprare, qualcuno non lesini … UNA SECCHIATA DI MERDA!.