… S.P.A. ovvero S olo P er A llocchi! … - di Francesco Briganti

09.07.2015 09:21

Del nucleo familiare originale del fu Luigi, un mondo migliore di questo se c’è lo vede di sicuro tranquillo e sereno, siamo rimasti in tre: io, mia sorella e mio fratello in ordine di età. Noi maschi da diversi anni viviamo in Toscana, mentre la più bella e cara vive in Calabria attesa alla propria famiglia così come noi lo siamo alle nostre. Ci sentiamo ogni santa sera; quali che siano gli avvenimenti del giorno, il periodo o le condizioni climatiche, sul far del tramonto il telefono : “ … come va?, tutto a posto? … ok!, ci sentiamo domani!”. Poche parole, sprazzi di affetto a dire ed a rassicurare sul tran tran quotidiano, ma anche a sottolineare che qualora ci fosse bisogno ognuno di noi è lì, pronto, ad essere di sostegno, di aiuto, fosse anche solo morale non riuscendo ad essere altro.

Si dirà: “ … beh!, normale amministrazione … “. Forse e forse no; conosco ed ho vissuto faccende familiari in seguito alle quali il sangue si dimentica, l’affetto e la stima scompaiono, il patronimico diventa quasi un peso o un elemento a distinguere, a classificare, a dividere. La lontananza, conseguente, e la poca frequentazione o i dissapori, allontanano di fatto e diluiscono, quando non annullino definitivamente, ogni reciproco scambio interpersonale. Se tutto ciò avviene in un bacino ematico comune, a maggior ragione trova terreno fertile lì dove non ci sono che regole su di un foglio di carta ed accordi da alcuni dettati e da altri subiti.

Mio nonno materno, pragmatico uomo del secolo scorso, soleva dire che “ … le società sono efficaci quando gli associati restano in numero dispari…”, ma subito aggiungeva anche che “ … quando si fosse in tre si sarebbe già in troppi … “. Cinica e disincantata affermazione per dire che, in realtà, le società sarebbe meglio evitarle conoscendo la natura umana. Le persone si associano, ciò nonostante, quando hanno obiettivi ed interessi comuni; quando hanno da riscattare condizioni di infimo, basso status sociale; quando ed in nome di un sogno elevato atteso ad un mondo, sociale, politico, filosofico, affaristico migliore.

Nessuno, quasi sempre è così, parte avendo nel animo l’intenzione di fregare gli altri; ognuno porge il meglio di sé atteso al bene singolo e del tutto; ciascuno si dice offrire ogni propria potenzialità al successo finale. Non ho statistiche in materia, ma il mondo è pieno di trionfi e fallimenti, felici consessi e tribunalizie contese a valorizzare o ad affondare l’idea stessa di associazione, di società, di comunione di intenti ed interessi.

Se tutto ciò avviene regolarmente e quotidianamente tra singole persone, mi sembra logico dedurre che, quando i protagonisti fossero degli stati, le potenzialità di successo e di insuccesso, queste ultime inizialmente nemmeno prese in considerazione, aumentano in maniera esponenziale e geometrica. Una unione tra stati, diversi tra loro per cultura, storia, economia, condizioni geografiche, nasce, deve farlo per forza, sotto gli auspici più aulici del sogno più altruistico possibile e, dunque, dovrebbe per questo contemplare ogni gradiente a caratterizzare ogni singolo componente di quella unione; di certo, al proprio nascere, queste considerazioni sono quelle basilari; sono quelle di Altiero Spinelli; sono quelle che videro la luce in quel di Ventotene.

Nel caso degli USA, sono duecento e passa anni oramai, la cosa ha funzionato ed ha fatto di genti diverse e senza una storia comune un popolo orgoglioso di sé e della propria coesione; ne caso dell’Europa Unita, di storie nazionali ce n’erano sin troppe così come di esperienze, usi e costumi, dunque sin dall’inizio l’opera di integrazione si mostrava essere titanica e bisognosa del massimo impegno e sforzo di ognuno degli stati aderenti. Ad oggi, invece, è palese riscontrare che ogni premessa iniziale è stata tradita, a meno che non vi fosse il solito codicillo illeggibile nel quale si sarebbe potuto leggere “ … lasciate ogni speranza o voi che entrate … “ giacché soltanto uno, poi, “ … uscirà a rimirar le stelle!”.

Quando gli intenti di pace e di collaborazione, di solidarietà e di reciproca integrazione, di coesione e di cessione di sovranità, abbiano lasciato il campo ad una sempre maggiore prevalenza degli uni sugli altri fino ad arrivare, oggi, a quella dell’uno su tutti gli altri, io non saprei dire per quanto una mia teoria la ho e l’ho anche espressa; che questa oramai evidente e sfacciata prevalenza non generi impennate di orgoglio e di protesta in ciascuno degli altri e fino ad imporre una ridiscussione ed un riadattamento di ogni cosa, però, è vicenda che mi lascia completamente interdetto.

Che si arrivi, persino unanimamente e salvo i promotori, a giudicare un atto democratico come un referendum, nocivo e problematico per quella unione, è indice oramai che la schizofrenia del potere ha sopraffatto ogni altro aspetto originario dando ragione a quel Bartali di ciclistica memoria parafrasando il quale non si può dire altro che “ l’è tutto da rifare!.”

Forse la Grecia accetterà di sottomettersi e forse no; forse la seguiremo noi italiani e forse no; forse ci sarà un rinsavimento generale o forse no; quello da cui, però, non si può sfuggire è che …

di buone intenzioni sono piene le fosse!.