Se fossi il Che … - di Francesco Briganti

29.06.2013 08:46

Leggo il fatto quotidiano. Ogni giorno. Comincio con il pezzo di Marco Travaglio poi proseguendo nelle altre pagine. Per quel che vale non sempre mi trovo d’accordo, qualche volta mi sembrano pleonastiche o eccessive alcune posizioni, ma nella maggior parte delle volte mi trovo in perfetta sintonia. Leggo repubblica, quasi ogni giorno. Ho cominciato che ero all’università e sono stato tra i primi suoi lettori. Mi piaceva lo scrivere di Scalfari e la linea editoriale; così non è più. Forse sono invecchiato, forse è cambiato il giornale, forse è solo che, come quasi tutta la carta stampata, anche il giornale che fu di Scalfari ha da rendere conto qualcuno. Se fossi il rivoluzionario vincente una rivoluzione abolirei il finanziamento pubblico alla stampa se non per i primi tre mesi, dopo di che ho hai qualcosa da dire e qualcuno che la vuole leggere, oppure “transit in gloria” e cambia mestiere.
Sono uno dei fortunati italiani che ancora un lavoro ce l’hanno. Mi piace, credo di farlo bene, mi consente una vita dignitosa anche se la crisi generale riverbera sé stessa anche nel nostro campo. L’imprenditoria è una attività difficile: ha come caratteristica il rischio e in funzione di questo è dipendente la sua esistenza. Quando i inizia un’impresa occorrono due cose sostanziali: poterlo fare senza l’immediato bisogno di incassare i guadagni ed una organizzazione di collaboratori che sentano come propria l’impresa stessa. Se dal lavoro che si inizia dipende il pane quotidiano o se i collaboratori non hanno quella caratteristica è meglio sedersi in un angolo aspettando tempi migliori perché quando il pensiero principe è come accoppiare il pranzo con la cena e quando questa condizione si ritrovasse anche nei collaboratori la guerra è persa in partenza. E fossi un rivoluzionario vincente obbligherei lo stato a far da garante in solido alle imprese nascente, esigerei le più ampie garanzie di onestà e funzionalità di un’idea, faciliterei la richiesta burocratica, abbasserei gli oneri fiscali e, diciamo dopo due anni, tasserei l’impresa con un aliquota fissata ad un certa percentuale per i successivi due anni per poi abbassarla ad una percentuale minore: insomma, una sorta di prestito d’onore da restituire al successo avvenuto.
Tra le altre cose sono stato informatore scientifico. Mi occupavo dei cosiddetti farmaci di co-marketing; quei farmaci, cioè, che non hanno un grande nome, ma la cui molecola ha la stessa, identica valenza ed efficacia di quelle pubblicizzate per la maggiore. Ero un fortunato, perché oltre a quella attività, ero riuscito a metter su un deposito di medicinali, sia di fascia a sia di libera vendita. Io, che non ero nessuno e nel periodo in cui la prescrizione era una facoltà esclusiva, servivo come depositario una dozzina di farmacie ed avevo sul prezzo di fustella (quel codice a barre che identifica ogni confezione, ndr) il settanta percento di sconto, più un quattro per cento per la gestione del deposito. Non era tutto guadagno perché una percentuale andava spesa in relazioni pubbliche, un’altra come sconto ai gestori la vendita al pubblico, un’altra ancora per garantirsi una continuità nel tempo delle prescrizioni. Niente di illegale o di antietico, ma tutto sul filo sottile del rispetto della legge. Se fossi un rivoluzionario vincente, non potrei, così come non può oggi chiunque sieda al ministero della sanità, non sapere queste cose e, dunque, obbligherei le case farmaceutiche al solo giusto guadagno e ridurrei di almeno il cinquanta per cento ogni costo oppure, obbligherei farmacie e/o pre scrittori a legarsi in maniera chiara ad una o più case produttrici ricevendone da loro il proprio sostentamento; in questo modo e da subito la spesa sanitaria vedrebbe il suo onere reale ridursi ai minimi termini.
Sono uno che odia la ricorrenza di Halloween. Non riconosco come mie quelle usanze aliene al nostro sentire, alla nostra storia ed alle nostre tradizioni; non sono, però, uno stupido e credo che dagli altri occorra prendere tutto il meglio, se proprio si deve, e non solo ciò che ci piace o ci fa comodo. Se fossi un rivoluzionario vincente, prenderei dagli altri paesi il rigore in politica; dagli americani il sistema fiscale, quello scolastico integrandolo con la gratuità vera sino ad un certo grado di istruzione esaltandone la meritocrazia espressa da in segnanti e studenti e facendo mio il prestito d’onore; dagli inglesi prenderei l’aplomb; dai francesi l’orgoglio patrio; dai tedeschi l’inflessibilità ed il rispetto delle leggi, condendo il tutto con l’amore ed il cuore italiano e degli altri popoli latini.
Tre, quattro cose di immediata e facile attuazione tra le tante altre altrettanto possibili ed altrettanto immediate da potersi realizzare; nulla di eccezionale e nulla di fantasioso. Nessun massimo sistema, nessun volo pindarico: buona volontà e la voglia del pubblico interesse sarebbero le uniche cose necessarie; se non fossimo in Italia e se io fossi IL CHE …!.