… semeiotica sociale, sintomi e segni clinici … - di Francesco Briganti

01.10.2014 20:02

L’idrofobia o rabbia è una patologia animale che può essere trasmessa all’uomo (zoonosi; ndr). Il suo portatore abituale è il pipistrello ma il veicolo più probabile per la diffusione umana è il cane, in un ambito cittadino, o la volpe in un contesto più rurale. Responsabile di questa patologia è un RNA virus appartenente all’ordine dei Mononegavirales e prende il nome di Lyssavirus; dal greco lycos (lupo). La sua incidenza nell’ambito europeo, e già da qualche decennio, è molto scarsa; la profilassi animale, l’informazione ed un controllo veterinario del territorio l’hanno quasi stroncata e, per quanto si registino casi sporadici, non desta più eccessive preoccupazioni.
La situazione italiana, non fa eccezione.
In “questopaese” ci si è persino dimenticati il significato della parola.
Non so se l’ira umana portata ai suoi eccessi più estremi, la rabbia appunto, abbia mutuato il nome alla patologia o se è partendo dalla patologia che si sia poi definito un corrispondente atteggiamento umano; quello che so, repetita iuvant, è che in un caso o nell’altro gli italiani ne disconoscono il significato.
La rabbia si mostra sotto molteplici facce; c’è quella violenta, quella rassegnata, quella meditata, fredda e vendicativa, quella vigliacca, quella impotente. In ognuna di queste accezioni la costante è il soggetto a soffrirne. Quando il caso fosse riferibile ad una persona singola, i fattori determinanti un comportamento successivo all’infezione avvenuta sarebbero del tutto personali: educazione, condizione, cultura, ambiente, indole sarebbero fondamentali, ognuno per sé e tutti insieme, a generare una reazione, quindi da considerare caso per caso ed a volte, quando conosciuti, sufficienti a rendere comprensibile una situazione, un fatto, un comportamento.
Quando, invece, il soggetto considerato fosse un gruppo, un partito, un governo o un popolo da quel governo retto, allora ai fattori suddetti andrebbero aggiunti termini di valutazione non sempre riconoscibili a prima vista quando addirittura non fossero del tutto inconoscibili o millantati sotto altre spoglie.
Non ho più voglia e credo non ne valga neanche la pena, di star lì a fare della dietrologia su quelle che sono le “rabbia” fittizie dei vari condottieri del venerdì sera i quali, dal sabato mattina alla domenica inoltrata riposano tranquilli nelle loro grasse case o su quelle di quei politici minoritari che sbandierano opposizioni, scissioni e dimissioni senza mai dar seguito al loro sentire, o ancora su quelle di quei comandanti in capo che promettono sfaceli per poi arrendersi, sodomizzati e soddisfatti, all’iter usuale di una ignavia diffusa e sistemica pur continuando, però, a mostrare un’aura da rivoluzionari e/o da riformisti.
Dato come fatto acquisito che il soggettivo è questione personale e non può far testo, ci si può comunque domandare come mai un popolo che mostra in ogni occasione possibile di provare rabbia per una condizione a detta comune non più sostenibile, non si adoperi, poi e nei fatti, a che quella situazione cambi.
Proviamo a considerarlo, quel popolo, nelle sue varie componenti:
a) Gli astenzionisti al voto; quasi il cinquanta per cento degli italiani non va più a votare; nel mentre questo dato significa al mondo lo stato di malessere e schifo per un sistema ritenuto oramai immutabile nello stesso tempo si rivela essere un modo di esprimere la propria rabbia del tutto inconcludente ed inutile in quanto, nelle cose, favorisce soltanto chi avendo raccattato un 20% dei voti utili si spaccia per paladino di una intera nazione millantando un 40% mai avuto.
b) Gli speranzosi; sono costoro quelli che a prescindere dalla propria idea, quando pure l’avessero, vanno a riempire un calderone che nutre la speranza, pascendosi di essa, di raggiungere una maggioranza assoluta e totalitaria in grado di far disporre di un potere assoluto e indiscusso; fermo restando il problema della inconciliabilità costruttiva delle varie anime che vi convergono, questo gruppo, in realtà, è quello più pericoloso in quanto può disporre alle mani di un incapace, di un fanatico, di un guitto, di un furbo un potere tale da essere una vera e propria minaccia alla pace sociale ed alla liberta di ognuno.
c) I settari; sono questi quelli che non hanno capito, non capiscono ed ahimè non capiranno mai che il dividersi su presupposti storici, su distinguo inutili al tempo moderno, su cavillosità speciose e non specifiche non produce altro che emarginazione, inconcludenza, inutilità dando, per sovra mercato, agio a quelle voci che in nome di una fittizia governabilità ne acuiscono l’inutilità fattiva e la inaffidabilità genetica.
d) I fedelissimi; sono quelli che siccome per un motivo o per un altro hanno fatto una scelta di campo si auto relegano nella imbecillità del pensiero unico e non razionalizzano mai la oggettivazione di uno statu quo che richiederebbe scelte drastiche, decisioni convinte e dure, azioni anche di rottura e /o convergenza verso idee nuove e non verso personalismi che in quanto tali non potranno mai gestire nel sacro un benessere comune a tutti.
e) Gli ondivaghi; brutta razza; la peggiore!. Sono costoro quelli senza dio, senza genitori o figli, quelli senza patria; sono quelli che oggi appoggiano tizio e domani caio e che come foglie al vento, come merce di poco conto si vendono a chiunque pur di trarne anche il benché minimo vantaggio personale.
Nel “popolodiquestopaese” e sia tra gli elettori che tra gli eletti non si può che constatare una presenza massiccia di ogni gruppo ed una promiscuità, una insana commistione tra gli stessi; una babele oggettiva figlia della somma di ogni sola, unica situazione soggettiva che, pur nelle sue diverse forme, è però comune a tutti: la ricattabilità!.
Il colpo di genio che questo stato in particolare, ma il capitalismo in genere, ha avuto, è stato quello di convincere tutti e ciascuno che nel possesso, nella proprietà risiedesse il fine della vita e non già nel benessere normale, nel lavoro, nella dignità quotidiana, nel rispetto verso l’altrui cosa e l’altrui persona. Il fine ultimo di questa induzione non era quello di dotare ognuno della qualifica di piccola, medio, grande capitalista e di farne un fruitore felice, ma di schiavizzare ciascuno al ricatto del : “ …. Ubbidisci, paga, sottomettiti, tradisci, ruba, accumula, prevarica, abusa, altrimenti perderai quello che in una vita di sacrifici sei riuscito a costruire …”.
Ora, fin quando i fatti della vita seguono un iter normale e tranquillo questa condizione non si avverte, ma quando quel ricatto comincia a chiedere il pizzo di una crisi ecco che essa condizione esplode sia pure a strati e cresce fin quando anche quelli che prima si ritenevano al sicuro cominciano a rientrare tra i coscienti, poi vittime, del ricatto. Il “popolodiquestopaese” ha come aggravante aggiunta l’incosceinza di essersi fatto addomesticare da anni di persuasione occulta masmediatica sulla bontà di chi, di volta in volta, prendeva il potere.

Ecco perché, secondo me e per quel che vale, il lyssovirus politico in “questopaese” non sortisce ammalati; questo popolo non è immune dal contagio …

è già morto!.