To be or not to be … - di Francesco Briganti
“ cosa significa felicità?
E potrai mai essere felice se la tua felicità è l’infelicità di un altro?
La felicità è un attimo felice o la sommatoria di momenti, felici e non, che racchiudono il senso di una vita?
Ditemi, Vi prego, cosa vuol dire felicita? “
… nessuno che sappia darmi una risposta …. ?!” (f.b.)
a. In senso soggettivo, di persona che non si sente felice, che ha lo spirito profondamente rattristato, tormentato da dolori, afflitto da sventure o da preoccupazioni gravi ben determinate e concrete (e in questo caso la sua infelicità può essere solo temporanea), o che soffre per natura di uno stato abituale di insoddisfazione, di irrequietezza, che la rende incapace di cogliere e assaporare gli aspetti lieti e gradevoli della vita: essere, sentirsi i.; un uomo, una donna i. (e analogam., anima, cuore, spirito i.); bambino i., triste e taciturno, o solo e abbandonato; madre, padre i., per es., per la perdita di un figlio; amanti i., per l’impossibilità di realizzare il loro amore (al sing., amante i., che non si vede corrisposto, o che ha perduto la donna amata).
b. b. In senso più oggettivo (che esprime per lo più la commiserazione da parte di chi pronuncia la parola), di persona avversata, occasionalmente o permanentemente, dalla sorte, che vive in tristi condizioni materiali o morali, che è stata colpita dalla sventura, o dalla malattia, o anche da morte (spec. se improvvisa); affine quindi sventurato, disgraziato. Con questi sign. è spesso sostantivato: avere, mostrare pietà per gli i.; povero i.!; stava l’i., immoto (Manzoni, parlando di don Rodrigo malato di peste nel lazzaretto); colpito dal proiettile, l’i. cadde senza una parola; è un i., non è altro che un i., di persona che conduca vita misera, o moralmente degradante, anche senza sua colpa. Talora, di chi ha una grave imperfezione o deformità fisica, o anche una minorazione mentale, dalla nascita o contratta successivamente: in seguito a quell’incidente restò i. per tutta la vita.
Face book è uno strano mondo. Dirne che è la soggettivazione senza controllo dell’IO è esprimere un concetto estremo ed estremizzato, ma, farlo, significa non essere mai troppo lontani dalla realtà. E’ una platea in cui ciascuno di noi può essere protagonista; è quello scanno ad Hyde Park sul quale chiunque può salire e raccontare la propria versione della vita; è quello specchio che ci ritrae ogni mattina e nel quale ciascuno si vede, ma, molto spesso, nessuno si guarda. Face book è la nostra natura in libera uscita.
Succede, a volte, che si divenga destinatari di un post o di un commento e accade anche di non trovarsi in accordo con quanto vi è scritto; a volte, per quieto vivere o per puro e semplice disinteresse verso il mittente si legicchia e si passa oltre senza curarsi troppo delle castronerie o delle profondità che vi sono espresse; altre, viceversa, si legge con interesse e vi si viene coinvolti: per profondo disaccordo, per ammirazione, per invidia, perché non si ha altro e/o di meglio da fare; ci si impegola, perciò, in discussioni raramente fruttuose per sé e per gli altri e nella foga dei momenti e degli istinti di rivalsa, di risposta, di aggressione, si cade nel precipizio della superbia e/o della offesa all’altrui pensiero ed essenza pur non avendo conoscenze dirette, pur non riuscendo ad essere oggettivi, pur sapendo, in fondo, di non essere sufficientemente distaccati in quella misura dell’attimo di riflessione necessario a rimanere civili.
Si scrivono, si leggono, si diffondono opinioni sacrosante, a volte, invece, pretenziose, in alcuni casi assurde, in certi altri assolutamente pungolo a ripensamenti o a iniziative le quali possono anche avere sviluppi tali da risultare fondamentali per il prosieguo della propria stessa vita. Il circolo mediatico di un network può dannare un’anima, ma può anche salvarla; può spingere alle bassezze più profonde, ma può ridare fiducia verso l’esterno da sé in special modo quando si fosse fortunati al punto da annoverare tra i propri amici virtuali, maggiori in numero di quelli reali e conosciuti anche nel quotidiano divenire, persone che non subiscono solamente, ma che con interagiscono, dibattono, si confrontano. Occorre, sempre e però, una condizione, quella di sapere istante per istante, che non si è dei “padreterni” o che, qualora lo si fosse, dall’altra parte c’è un mondo fatto di soggetti protagonisti a loro volta e non di oggetti in attesa del verbo divino. Nessuno mai, comunque ed a prescindere, è depositario di verità rivelate univoche al mondo e che, per quanto si possa essere eruditi, profondi, acculturati, anzi ed a maggior ragione, tanto più bisognerebbe essere fruibili, comprensibili, attenti alla capacità altrui di comprensione. Tutto ciò che fosse in contrasto con questo diviene inutile, forse fonte di auto referenza, ma di sicuro non produce risultati concreti in un mondo, virtuale e non, in cui la vacuità delle cose fatte e dette è predominante rispetto al resto. La conseguenza più frequente è quella di finire col credersi un messia al disopra degli altri considerati, consciamente o inconsciamente, poveri e stupidi plebei mentali.
Face book non è una palestra di fisica, ma va sempre considerato e tenuto presente che anche in un network vige il principio secondo cui “ ad ogni azione ne corrisponde una eguale e contraria ” e, dunque, come diceva il grandissimo principe di Bisanzio e comico amato Totò, quando si fosse al cospetto di un totale occorre che si guardino gli addendi che hanno determinato la somma, altrimenti gli attimi di felicità o di infelicità, di orgoglio e presunzione, di mortificazione e abbattimento ed alla via così ogni sensazione comprendendo, non sono altro che sentimenti sterili, squallidi e fini a sé stessi.
Come si vede dai punti a) e b), entrambi presi dal vocabolario Treccani, classificare come “infelice” qualcuno presuppone una conoscenza approfondita e vecchia per nascita tale da render ragione dell’affermazione, altrimenti quella classificazione non sarà altro che una offesa irragionevole, non motivata, non accettabile e non spiegabile; offesa che dice più su chi la fa che su chi la riceve e dunque, fonte di astio e di risposte altrettanto irragionevoli, ma motivate e, dunque, spiegabili e, gioco forza, da accettare. Qualora, poi, il definito infelice fosse anche messo in corrispondenza biunivoca con la carta igienica allora l’offesa da trivio è palese ed è infamante.
Moderazione, modestia, umiltà e rispetto per gli altri dovrebbero essere, sia pure nelle diversità più complete, sempre alla base di ogni rapporto; se di queste qualità si fa a meno non si può pretenderle nei propri confronti senza ricadere in quella immagine riflessa da uno specchio che ciascuno vede, ma che nessuno guarda!.
Che altro?: nada, nada de nada!.