… tovarish … - di Francesco Briganti

04.03.2015 14:00

Correre appresso a chi se ne vuole andare è stupido; farlo nei confronti di chi nemmeno più sa cosa vorrebbe fare lo è ancora di più. Allo stesso modo è stupido cercare di convincere qualcuno di qualcosa che per quel “colui” è una possibilità che non esiste, che non si prende nemmeno in considerazione, in special modo quando fare l’esatto contrario procura soddisfazioni e per giunta rende in termini di notorietà, seguito, voti.

La capacità di operare una scelta ben precisa ed a volte dirompente è la qualità che serve ad un uomo, maschio o femmina che sia, per dichiararsi tale; si può tranquillamente affermare che se non si è degli implumi bambini o dei servi genetici non c’è situazione di cui si è protagonisti che non preveda o raggiunga il momento in cui il gioco non vale più la candela e, dunque, non c’è accadimento che non porti qualcuno a dover decidere di affondare il colpo o di gettare la spugna.
Quando tutto questo fosse inquadrato nell’agone politico non avere questa capacità di decidere per l’una o l’altra delle due vie, significa soltanto essere dei guitti senza speranza e degli inutili arruffa popolo lo scopo dei quali, a volte, non è nemmeno confessabile.

Detto questo le due vie da considerare dunque sono l’abbandono e la partecipazione.

L’abbandono è senzaltro la via caratterizzante un certo tipo di uomo: quel “colui” il quale, cioè, avendo cavalcato una particolare situazione, essendo arrivato al nocciolo della stessa, si rende a quel punto conto di non aver armi a sufficienza, né la forza necessaria per entrarvi concretamente cercando di modificarla dall’interno e per il meglio. Prendendo la decisione di abbandonare il campo quel “colui” avrà dimostrato coraggio e coerenza con sé stesso soltanto se non cercherà di restare comunque sulla scena cercando di barcamenarsi sull’onda del successo ottenuto così da spacciarsi per duro e puro senza contemporaneamente ammettere la esaustiva inutilità di quell’essenza. Quel “colui” che scegliesse questo comportamento si dimostrerà per quanto diverso, esattamente uguale e funzionale alla situazione o a coloro che avrebbe voluto cambiare o combattere.

La partecipazione richiede un coraggio ancora superiore e rende agli occhi di tutti un “colui” di natura diversa; ce lo mostra quale chi si mette in gioco sicuro del proprio essere e quindi come un intoccabile dal malaffare e dal doppiogioco altrui ed anzi tanto più forte ed in crescita quanto più l’altrui ne tentasse la corruzione o la cooptazione e lui ne svelasse di volta in volta i raggiri, i tranelli, le finzioni quali che ne fossero le intenzioni e le modalità. E’ fuor di dubbio che questo ne accrescerebbe la forza sua e del proprio seguito e potrebbe portarlo ad assumere quell’aura da “salvatore della patria” necessaria ad un effettivo cambiamento del contesto generale. Quel “colui”, però ed al tempo stesso, sarebbe tanto intelligente da aver già provveduto a circondarsi di persone esattamente alla propria altezza, quindi capaci, altrettanto intelligenti ed onesti, e dunque tali da non fargli e da non correre il rischio traumatico della corrosione disonesta che il potere, assoluto, condiviso o marginale che fosse, sembra indurre immancabilmente in “questopaese”.

Perciò la partecipazione.

In relazione a questa e detto di quei “colui”, occorre fare un discorso un po’ più mirato e diretto non già al nuovo, ma al vecchio in via di estinzione: quella sinistra che annovera nelle sue fila esattamente quegli stessi duri e puri che fanno della loro particolare caratteristica ideologica l’unica verità esistente; in funzione di questa rifiutano ogni sorta di aggregazione promiscua con altre sfaccettature della stessa ideologia trovandosi, così, tutte ed ognuna di esse inesorabilmente su una probabile via funeraria e su di una certa ed incontrovertibile inutilità fattoriale e fattiva.

Quella sinistra, le cui anime sono esse per prime discutibili, OGGI, in quanto essenze ultime di interpretazioni personali di questo o quel leader DI IERI, sembra non rendersi conto che la propria esistenza è figlia di una idea madre: quel MARXISMO IL CUI PUNTO FOCALE ERA UNA CLASSE SOCIALE, UN POPOLO AFFLITTO, UNA CONDIZIONE DI INFERIORITA’ E DI SFRUTTAMENTO che richiedevano interventi unitari, decisi, dirimenti. IL MARXISMO non è mai stato solo una linea politica ma è sempre stato una filosofia di vita; marxista era chi faceva della tutela del diritto, della difesa dalla prevaricazione, dal abuso e dal sopruso, della eguaglianza sociale nel dare e nel avere una ragione di vita e di altruismo. Le aberrazioni del marxismo, e molte ce ne sono state, non sono figlie di quella filosofia, ma sono diretta conseguenza della malevola applicazione da parte degli uomini che di quella filosofia si sono serviti se è vero come è vero che lo stesso Gesù Cristo potrebbe definirsi il primo marxista.

Quella sinistra che oggi assiste imbelle e sconsolata allo strapotere di una finta sinistra preda e schiava di menti che sanno come muoversi nel campo del “DIVIDE ET IMPERA” è, ben si sappia, si riconosca, si ammetta, ci si convinca, L’ULTIMA INUTILE ABERRAZIONE di quella filosofia. Il suo quasi scomparire, la sua conseguente non partecipazione alla cosa pubblica, la sua nessuna efficacia funzione MORTIFICATA di quell’idea e MOLTIPLICATA di quelle divisioni la rendono, al pari di qualsiasi altra vuota cosa, un “CHE” ed un “CHI” decisamente di fronte a quel bivio di cui sopra ….

O ABBANDONA O PARTECIPA;

ma per farlo, per esserci, deve trovare l’umiltà per unirsi in un unico solo corpo.