… uccidete Caino … - di Francesco Briganti

17.02.2015 07:59

L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. (art. 11 Costituzione).

L’epopea americana del Vietnam non sta tanto nelle battaglie, vinte o perse, nel diffuso uso ed abuso eccesivo di droga tra gli statunitensi o nei dieci muniti dieci che erano l’effettiva aspettativa di vita di un soldato nella giungla del Mekong; e non sta nel trionfo finale dei vietcong o nella fuga- disfatta da Hanoi degli ultimi momenti, l’epopea americana del Vietnam sta tutta quanta e solamente nella condizione disagiata, nel rifiuto mortificante, nell’impossibilità di ritrovare una vita normale, nelle difficoltà generali che ogni soldato americano visse e provò al ritorno in patria e nel rapporto con gli stessi americani: quelli che li avevano spinti ad andare e che non vollero, non seppero, accoglierli al ritorno.

La naja è di per sé una condizione assurda. Gli eserciti sono dei micro-macro mondi in cui persino le leggi della fisica e della chimica vengono piegate ad un solo obiettivo: la funzionalità all’ottenimento della vittoria. Le regole sottostanno a priorità del tutto differenti da quelle della vita civile; l’obbedienza non sempre è rispetto, ma sempre è sottomissione; è cieca ed assoluta perché parte dal principio che chi ordina lo fa da uno stato di conoscenza e di esperienza superiore al tuo; lo fa perché ha un obiettivo santo da raggiungere e sa come raggiungerlo; lo fa perché esprimendo un ordine, quale che sia, QUALE CHE SIA, egli sta salvaguardando l’esistenza del maggior numero dei propri combattenti e non già per un altruistico amore per la vita, ma per la semplice constatazione che un soldato morto NON SERVE PIU’.

La guerra è l’universo in cui quei micro-macro mondi assurdi si muovono, apparentemente, secondo logiche precise, ma in realtà seguendo un percorso di accadimenti che ben presto esulano da ogni piano di attacco e/o di difesa precedentemente precostituito. Una mina antiuomo, un cecchino nascosto dietro l’angolo di una casa, una bomba, intelligente o no che sia, su di un obiettivo sbagliato, un missile impazzito, un proiettile a bersaglio o a mancare un bersaglio e ciò che si era previsto o temuto si trasforma in qualcosa di diverso e non più controllabile.

Una guerra non ha sentimenti; il mors tua vita mea è l’unico comandamento da rispettare che si sia l’ultimo dei piantoni o il più alto in grado tra i generali. In guerra si uccide, si assassina, e sono due cose diverse; in guerra si mortifica e si distrugge la dignità di ognuno e di tutti, vincitori e vinti; in guerra non ci sono donne, bambini, ospedali, scuole ed ogni anfratto, ogni angolo di strada, ogni soggetto al di là del proprio intorno è un potenziale nemico che può ucciderti e che lo farà se non sarai tu il promo a sparare. La guerra è terrore serpeggiante e freddezza decisa; è voglia di sopravvivenza a tutti costi; è un’alba che non vuole sorgere dopo una notte infinita.

Chi non conoscesse la quantità di pressione che occorre per premere un grilletto; chi non ha mai provato quanto sia facile infilare una baionetta in un corpo; chi non ha l’esperienza terribile degli occhi di un uomo quando un’anima lentamente sparisce; colui che non avesse mai sentito lo straziante dolore di chi ha il corpo maciullato; colui che non avesse mai mirato ad un punto preciso di un altro o non avesse mai spinto la punta di un coltello puntando lì, esattamente dove, cinicamente, ma funzionalmente, gli è stato insegnato farà più male e non conosce perciò, tutto quanto questo significhi; quell’uomo che non conoscesse su di sé quel tipo di sofferenza, colui il quale non fosse disposto immediatamente a proporsi in prima persona per tutto questo, quel colui non dovrebbe mai e poi mai ed ancora mai parlare di guerra, di battaglie, di difesa, di attacco ed alla fine parlare di un gioco, perché di questo si tratta, efferato e tragico il cui costo sarà da tutti e da ognuno pagato a carissimo prezzo.

La guerra a volte non solo è necessaria, è obbligata da situazioni contingenti e perverse; ma essa non dovrà mai essere sotto valutata o vissuta come se si parlasse di qualcosa al di fuori del proprio IO e del proprio intorno giacché alla sua fine, comunque sia, dovunque sia, quantunque sia, i morti, quelli seppelliti, in patria o tristemente lontano, e quelli ritornati dopo aver visto per intero la bestialità e le atrocità, subite e rese, dietro o di fronte ad un arma assassina saranno gli unici protagonisti del durante e del dopo e tra di loro, non troverete mai, ma proprio mai nessuno tra quelli …

che prima ne avevano invocato l’intervento e li festeggiano e/o giudicano dopo!.