uomini soli … - di Francesco Briganti

26.09.2014 13:13

Mio padre diventò un non vedente. Aveva più o meno la mia età attuale quando si accorse che, lentamente ma inesorabilmente, i suoi occhi lo stavano tradendo. Preferì non dirci nulla all’inizio e continuò nel suo lavoro sino a che un giorno smise di guidare e, dalla sera alla mattina, senza alcun cenno alla proprie condizioni, mise tutto nelle mie mani e si ritirò ad una condizione da pensionato. Per tre settimane di marche mancanti non ricevette alcuna pensione da lavoro se non la minima sociale e con quella, secondo questo stato infame, avrebbe dovuto continuare a vivere.
Nato in pieno fascismo, alla fine della guerra, aveva l’età giusta per essere tra quei ragazzi napoletani che tiravano la giornata trafficando con il “liberatore americano”, con il mercato nero, con quell’arte dell’arrangiarsi che fa dei napoletani un popolo, noi sì, unico al mondo.
Non si arricchì; non lui; aveva tredici fratelli a cui pensare e quello che in quegli anni guadagnava finiva tutto ad aiutare il padre nel mantenere una famiglia numerosa. So di altri che pur contribuendo allo stesso modo e per le stesse circostanze riuscirono però a mettere da parte quel tanto che contribuì, in seguito, a farli diventare “dottori”: a Napoli, purché tu abbia i soldi, un titolo accademico non si nega a nessuno.

Ho uno splendido ricordo di mio padre e della sua famiglia. Ricordo con grandissimo e melanconico affetto quelle riunioni conviviali, una folla, che ci vedevano in molte occasioni sedere alla stessa tavola. Ricordo quella grande casa affacciata sul mare di san Giovanni a Teduccio un giorno tappata dalla costruenda centrale dell’Enel. Ricordo le bocche di leone, rosse come il sole più acceso, pendere dai balconi; ricordo quel grande palazzo con l’immenso cortile su cui si affacciavano un centinaio di appartamenti ognuno dei quali aperto su di una balconata comune e circolare. Ricordo le voci che si rincorrevano a chiamarsi da un lato all’altro e nella mia memoria si fanno largo con forza “Ciack” il gatto mammone e biondo che si accoccolava sulle spalle di mio padre e quella giornate passate a giocare con cugini, alcuni quasi persi per i casi della vita, nella strada prospiciente o su di una spiaggia poi fondamenta di quella centrale.

Dei miei zii ognuno ha costruito, con maggiori o minori fortune, qualcosa di grande per la propria vita; ognuno ha messo su una famiglia; ognuno ha realizzato nel suo piccolo quanto si augurava sin da quei tempi. Molti ci sono ancora, altri, fratelli, sorelle, di sangue o acquisiti, se esiste un bar in paradiso sono seduti a giocare a tressette con mio padre litigando come solo il sangue sa passare sopra oppure a “ciacolare” amabilmente sui ricordi e le avventure che li hanno visti crescere ed amarsi per tutti gli anni che sono stati assieme ed insieme.

Era il palazzo di Budigliò; era la mia infanzia; era ed è la mia famiglia.

Io immagino che ciascuno di noi al mondo abbia ricordi, ciascuno per il proprio, simili ai miei; immagino che anche i nostri politici, i nostri profeti della domenica, le nostre minoranze all’opposizione, i vari ondivaghi ora con l’uno ora con l’altro abbiamo melanconie ed affetti cui si aggrappano nei momenti di sentimento e nostalgia; lo stesso Nano di Arcore ed il suo figliastro fiorentino saranno in questo dei comuni mortali.
Quello che non mi riesce ad immaginare, dando per scontato che questi momenti particolari siano in loro presenti, è come si possano conciliare istanti di puro moto d’animo, di completa simbiosi con l’io e con l’altrui con quella poi disincantata strafottente disinibita noncuranza del bene comune. Mi diventa impossibile capire come si possa millantare per bene comune l’espressione esplicita di interessi particolari; come si faccia a recitare un copione egoistico spacciandolo, quasi over dose mortale, per cambiamento ed innovazione di un sistema alla sua invereconda annunciata improcrastinabile fine.

Io credo, e vale per quel che vale, che essi abbiano messo a tacere la loro anima sotterrandola sotto una montagna di menzogne raccontate prima a sé stessi e poi agli altri.

Uomini soli, con la propria alterigia, con la propria cupidigia, con la propria maschera a nascondersi pur nel loro apparire.