… uomo … - di Francesco Briganti
Fa freddo stamane!.
Improvvisamente sembra che quella strana atmosfera d’attesa che permeava un ottobre indeciso abbia virato verso un’intenzione del tutto invernale. Un vento anomalo, quasi tiepido ad un primo impatto gela immediatamente dopo le carni ed intrufolandosi sotto i vestiti spinge ad un “pilorcio”, ad una pelle d’oca, sintomo evidente di una passata giovinezza e, rimpiangi di non aver ancora indossato la maglia della salute.
E’ silenzio fuori in strada e lungo il cammino in divenire. Un ciclista mattutino sfida la bassa foschia e senza giubbotto giallo “eccocisonofateattenzione” sfreccia veloce ai margini della via; qualche rara macchina in questa alba tardiva lo incrocia o lo scansa al ultimo momento mentre qualche gallo titubante prova a lanciare uno stentoreo richiamo ad un sole ancora pigro ed assonnato. Le Luci di Montecatini, riflesse nel cielo nero di uno spazio infinito, sfocano lentamente via via che la cintura di Orione da trittico stellare si trasforma in fantasma astrale evanescente come un demonio dopo un esorcismo.
In lontananza ogni cosa riacquista i propri contorni ed un campanile indefinito nei luoghi e nel tempo rintocca le sei e mezza di un grigio nero grigio pallido e smorto come un “fu” su di un tavolo autoptico; più in là, appena prossima al orizzonte vicino, il roseo apparire sopra i suoi contorni mostra la collina come una fosse il viso di una vergine appena passata al ruolo di donna e qualcosa nell’aria comincia a frizzare. Un fitto perlage di sensazioni accompagna, attenua, lenisce e rassicura il “pilorcio” affiancandogli, almeno ci prova, un interno crescente calore di pace e sereno. Sale vincente e decisa la melodia di sottofondo e gli acuti dei solisti abitudinari o improvvisati ne diventano la nota portante via via che il re mattutino sale al suo ruolo. Il mondo si sveglia, si appresta, si industria e si avvia e tutto e tutti riprendono un “da fare” lasciato in una animazione sospesa solo qualche ora prima nelle braccia di un Morfeo quando pietoso e riposante quando, invece, maligno genitore di incubi e tormenti figli e continuo del recentissimo a passare.
La giornata diventa incombente con il suo andare incurante di nuovo giorno che, pur essendo un altro giorno, non sembra essere, così a prima impressione, quel altro giorno che avresti sperato. La sera ancora lontana, prole di una gestazione lunga seppur definita diventa, ad ogni momento trascorso, l’unica meta e punto di arrivo e partenza per una ulteriore attesa in un ciclo circadiano e perenne, padre, figlio e gemello di quello precedente e del suo successore. Scorre ogni cosa come fosse un pantano in movimento ad offuscare, intristire, soffocare anche il più ostinato degli ottimismi, la più ingenua delle speranze, la più salvifica delle illusioni.
La cattedrale del visibile e del vivibile mostra dovunque i propri altari sacrificali, le proprie icone sante a promettere ogni cosa, le reliquie di questo o quel messia, vecchio, nuovo, nuovissimo o solo annunciato, che ha indicato, indica o indicherà, al momento opportuno, una via, quella via, uguale, simile o fintamente diversa, anch’essa foriera di un impasse dal quale non sarà dato di uscire. Officianti solenni, paludati, seriosi, ridicoli, celebrativi, funerei, festanti, rivoluzionari, morigerati o laidi dicono messe aliene al comune comprendere o sazie della fede cieca muta e sorda di quei seguaci troppo stupidi o stanchi per non diventarne succubi e schiavi.
E, nel frattempo, si compiono quei sacrifici umani destinati a calmierare l’ira di dei impietosi, disattenti e disinteressati che tanto più rinvigoriscono quanto più diminuisce la forza, la resistenza e la voglia di difesa di chi non ha più amore nemmeno per sé stesso.
Ed il tempo passa e la sera si avvicina; ed il tempo passa e si perde nell’attesa di un attesa che sia attesa di un altro giorno le cui ore non fossero, finalmente, le solite, frustranti, salate e stantie
lacrime di Dio.