... vacanze ... - di Francesco Briganti

01.08.2014 08:50

Ho nostalgia della mia terra!. Da quattro anni non mi riesce di ritornarvi e, forse, mi sarà impossibile farlo ancora per il quinto.
Provenienti da una realtà urbana, quella napoletana, arrivammo a Nicastro in un pomeriggio assolato di un febbraio del sessantasei: sembrava primavera!. Una splendida giornata di sole ed una temperatura mite ci accolsero quasi a festeggiare il nostro arrivo e la 850 coupé che guidava mio padre non avrebbe potuto fare più scalpore neanche fosse stata una Ferrari al punto che ci classificarono subito come quelli della sportiva rossa.
L'alternativa a quella destinazione sarebbe stata Ferrara, ma quando andammo per conoscerla, nebbia, neve e freddo ci accolsero in tutto il loro rigore; per tutti noi, ognuno dei qual,i genitori compresi, era nato ad una distanza dal mare mai superiore ai cento metri, fu uno shock che ancora ricordo per cui la cosa decadde prima ancora di valutarne la convenienza.
In quei quasi cinquanta anni fa l'odierna Lamezia Terme era un tipico paesino calabrese e pur essendo già centro del commercio regionale presentava ancora molte strade non asfaltate e le donne, giovani ed anziane, andavano in giro con i tipici costumi locali variamente colorati secondo lo stato civile; i negozi di alimentari, gli orari ballerini, spesso aprivano a richiesta avendo ciascuno una propria fonte di sostentamento derivata dall'allevamento e dall'agricoltura: l'unica macelleria esistente apriva una volta la settimana, il giovedì. Era un sabato e la nostra nuova casa era in quella via Trento, palazzo Pallone, allora al limitare nord ovest del paese.
Non ho amato subito quella terra aspra, accogliente e cortese dall'immediato, ma diffidente e distaccata al contempo; non mi sono integrato facilmente tra coetanei che, per lo più, tendenzialmente parlavano una lingua che non capivo e che ancor più dfificilmente mi riusciva di scopiazzare; aggiungeteci che arrivavo nel nuovo liceo con una media del primo trimestre da far paura ed ecco che prima di essere accettato alla frequenza dei corsi trascorse quasi un mese. Insomma mi sentivo come un naufrago circondato da isolotti sparsi e promettenti nessuno dei quali però facile da raggiungere con una nuotata tranquilla e serena al fine di un approdo inizio di un nuovo qualcosa.
Ho vissuto in quella terra tosta, dura, complicata, vessata e ribelle, trentaquattro anni; per periodi lunghissimi e per altri frammezzati da esperienze esterne. Ho imparato da essa a crescere maturando ed essa ha forgiato il mio carattere ed il mio divenire quotidiano; su quelle basi, tutte le altre esperienze hanno completato il mio essere uomo. Senza nulla togliere ad ogni altra regione italiana, ho la presunzione di dire che la terra degli antichi itali, la Calabria appunto, dovrebbe essere motivo di esperienza e crescita per ogni altro italiano che ambisse al vero senso della vita.
Il sapore,materiale ed esoterico della terra; il senso dell'onore nel suo significato più alto, quantunque a volte distorto; il sentimento di appartenenza; il rispetto per l'atrui persona a prescindere ed il concetto di ospitalità avvertiti all'eccesso, ma solo fino alla curva del rispetto e della considerazione ricevuta a prescindere ed in cambio; la disponibilità ad essere, comunque, la spalla necessaria al momento del bisogno; le esperienze storiche sociali e culturali e poi i panorami montani, la Sila, l'Aspromonte, le valli coltivate ad agrumeti, ad uliveti, le spettacolari spiagge lunghissime e gli orizzonti marini, aperti sullo Jonio e sul tirreno fino all'infinito possibile che uno sguardo possa raggiungere, fanno dei calabresi, ed io sono un calabrese napoletano, quella popolo fiero, orgoglioso, convinto e deciso. Fanno di un calabrese il miglior amico possibile o il peggior nemico da temere; fanno della Calabria una nazione nella nazione; fanno dei calabresi un valore aggiunto.
Amo quella terra ed amo i suoi abitanti. Ho nostalgia degli amici e dei luoghi che mi hanno visto protagonista nel bene e nel male che la vita riserva a ciascuno ed amo le situazioni, le avventure quotidiane mai programmabili per quanto in una routine prestabilita; amo i vigili e le forze dell'ordine di allora, oggi non so, che erano figure paternalistiche non ancora assoggettate alla logica dell'interesse finanziario del comune; amo la figura del comandante dei carabinieri inteso some uno dei notabili, così come il medico di famiglia ed il farmacista, amo quelle riunioni di partito dove sembrava si parlasse a Yalta ed amo anche tutto il peggio che mi è capitato e amo quel andar via da tutto questo in funzione della mia natura vagabonda e marinara.
Amo quel sapore di vita vivibile che quella terra mi ha reso per tanti anni e che, ancora oggi, ogni tanto ritorna alla mente tanto prepotente da spingermi a ritornarvi come un salmone che risalga la corrente di un fiume impetuoso. Da quattro anni la cascata vicende gioiose ed amare, matrimoni, nascite e decessi in famiglia, tutti concentrati nel periodo estivo mi hanno impedito di riassoporare da vicino ogni cosa, ma quel sapore resta forte e vivido ogni giorno di più idealizzando una sirena bruzia continuamente a cantare il proprio richiamo amoroso.
Al momento non so ancora quando potrò soggiogarmi a quel richiamo insistente, ma ho giurato a me stesso che, quale che sia il modo e quale che sia il tempo che ci resterò, la fine di agosto deve vedere sazio ed appagato il mio desiderio di ritorno a casa.
Ho imparato ad amare il luogo in cui vivo e le persone che vi abitano e qui resterò per il resto della mia vita, ma quell'isola di Stromboli che si vedeva appena accennata nella foschia mattutina dalla finestra della mia cucina è una delle visioni che sempre più spesso accompagnano la mia passeggiata mattutina mentre la memoria del odore del mare calabro ed il profumo degli ulivi toscani si portano via i miei ricordi ed i miei passi a ritornare ... .