... viulentemente mia … - di Francesco Briganti

23.06.2015 08:33

Capita tu sappia che, improvvisamente, qualcuno se n’è andato. La tua vita, quella di tutti i giorni, non cambia in nulla giacché, ed in fondo, la presenza di quel qualcuno non incideva, direttamente o indirettamente, in quello che sei, in ciò che fai oggi o in un tutto che sarà il domani; eppure, venire a conoscenza di quella particolare mancanza ti lascia interdetto, attonito, quasi sperso. Ieri, abbandonata da quel cuore che tanti altri ha fatto sussultare, poeticamente innamorare, laidamente fantasticare, lucrosamente guadagnare, Laura Antonelli ha detto basta ed in silenzio, come aveva vissuto quell’ultima parte della sua vita, ha chiuso dietro di sé la porta del mondo, diretta, lo spero per Lei, verso una condizione migliore.

Leggo vivesse in una sorta di abbandono sociale figlia di una condizione pensionistica indecorosa se raffrontata al giro di denaro mosso nel tempo intorno a suo nome; sembra vivesse comunque in conformità assoluta con l’esistenza di molti altri protagonisti dello spettacolo che non avessero fatto, del loro esistere, le formiche godendosi, forse in modo eccessivo, cicale a prescindere, ciò che era nel momento in cui era. Sono considerazioni vuote, dettate dalla ignoranza effettiva di una situazione di vita la cui valenza, al di là di un foglio di un qualsiasi periodico, non entra mai nel contesto soggettivo e personale di ciascuno di noi. Le lascio così come sono arrivate continuando a seguire, però, quel sentimento di sgomento, insulso se vogliamo, che mi ha colpito alla notizia.

Laura era la mia adolescenza; era le serate al cinema con la speranza, mai nascosta interamente, di uno scorcio di un corpo femminile; era la risata estemporanea per situazioni e vicende ad inanellarsi l’una all’altra attraverso l’espressione dei tanti a recitarle accanto; era la signorile bellezza di una donna in tutto il suo fulgore; era l’eleganza ingenua eppure sapientemente erotica di chi sa di piacere; era l’intelligente maestria di chi sapeva trasmettere, con la propria abilità nel essere persona diversa nei diversi ruoli, la fantasia di una finzione quale fosse realtà possibile ed anzi evidente.

Laura era la malizia genuina e fresca, mai portata al eccesso della volgarità e della impudicizia, che racchiude l’essenza di ogni donna che sappia essere al tempo stesso anche femmina, madre, moglie ed amante. Sapeva essere quella mezza mela, che ogni maschio ed uomo di allora, amava immaginare come propria possibile compagna; era lo svilupparsi ed evolversi di ogni maschio che avesse una concezione rispettosa dell’altra metà del cielo e che non vedesse le donne come un sordido strumento da utilizzare, quale che fosse lo scopo ultimo, ma come completo e paritario alter ego a completare, riempire, integrare un percorso comune verso un futuro di affrancamento da una morale civile e sociale che ancora ammetteva il patriarcato come unica finzione vigente comunque sempre smascherata dalla reale vita vissuta .

Passò!. Come passano tutte quelle persone e quelle cose che ti influenzano nel cammino, ma che non ne fanno parte integrante. Si relegano in un angolo della memoria da cui riemergono per determinati momenti e fatti; se ne sostituisce l’icona con altre a succedersi nel tempo in funzione della propria età della propria condizione, dei propri interessi. Passò!; forse ritrovandosi, Lei stessa, in quella condizione di solitudine dignitosa e vergognosa dettata dal rimpianto del “potevo …, ed allora perché non l’ho fatto?”.

Se ci riflettete sinceramente, questa è una condizione che, oggi, molti vivono inconfessata. La condizione di molti di noi, al di fuori di ogni canone economico, professionale, politico o sociale appartenente a ciascuno, è quella di chi, da cicala, si accontenta o si rassegna e si pasce o sopravvive, del e nel proprio quotidiano ritenendolo immutabile e/o, comunque, troppo rischioso da affrontare in funzione di un cambiamento verso una condizione migliore.

Laura Antonelli può essere, dunque, assimilata ad ogni italiano contemporaneo, che viva agiato o disagiato poco importa, pedissequamente atteso al momento in essere. Questi non ha più la forza, o, forse, il coraggio, per combattere ed opporsi ad una sopraffazione degli eventi ritenuti fuori dalla propria portata e si lascia trasportare, supinamente, verso quella condizione finale da manicomio quale era quella de “il merlo maschio!” …

buono solo a cantare nella propria funesta follia.