… viva l’Italia … - di Francesco Briganti

09.02.2015 08:22

Il vento di febbraio, entrando dal finestrino aperto, gli scompigliava i capelli e asciugava l’umido interiore che saliva lento sgorgando caustico agli occhi. La sua macchina, una Ford Capri rossa che, suo vanto ed orgoglio, aveva conosciuto tempi migliori, mordeva comunque l'asfalto arrampicandosi per la strada in salita e piena di tornanti. Gli alberi sfrecciavano veloci alla sua destra, facendo da argine ad una strada che fiancheggiando un burrone scosceso, si apriva su un lontano orizzonte marino: lo sfondo del mare, schiumoso d’inverno, lanciava la sua eco sorda e odorosa.

Una curva presa larga lo costrinse a rallentare e a mettere maggiore attenzione nella guida. Troppe volte, ormai, aveva fantasticato di risolvere ogni problema lanciandosi contro un albero o contro un altro veicolo o incontro al burrone, ma poi, il timore di non riuscire, neanche in quel estremo tentativo, lo aveva sempre frenato, fino a che fantasticando sempre meno, aveva deciso di organizzarsi un incidente diverso. Qualcosa che, assicurazione permettendo, avrebbe sistemato, per sempre, la sua famiglia. “ Gli altri? Che si fottano “ - pensò con disperata rassegnazione ...

“ Si, capisco benissimo …., domani mattina, si… al più tardi alle nove. Si, va bene, farò il possibile ….. No, no, so perfettamente che non può più rimandare, certo direttore …., non se ne faccia un cruccio …., grazie …., grazie lo stesso.” L'ennesima telefonata della Banca. Quante ne aveva ricevute e soprattutto quante ne aveva fatte lui. Cercando fra clienti insolventi, aveva fatto il giro di tutti senza riuscire a raccogliere che un decimo di quello che gli sarebbe servito. Aveva provato con ogni mezzo. Aveva blandito, aveva esortato, pregato, perfino minacciato i suoi interlocutori, ma alla fine, persona per bene fra persone per bene, si era arreso a quella che sapeva essere la realtà di tutti: oramai anche la sua!.

Una crisi dai toni irreversibili sembrava avere attanagliato ogni cosa ed il suo protrarsi nel tempo aveva inginocchiato i più forti e prostrato i più deboli. Di questi, molti, abbandonato il timone, si erano lasciati in balia della corrente, altri annaspando per non affogare cercavano di dipanare una matassa fatta e fitta di cambiali, assegni, banche, notai, debiti e, per i più disperati, strozzini. Chiuse gli occhi portandosi le mani ai capelli, la stanchezza aveva ormai preso il posto di ogni altro sentire, li riaprì e dirigendosi verso la porta: “ Non aspettarmi - disse alla segretaria - Tornerò tardi, avvisa anche casa mia .”

... la cascina l'aveva scoperta tanti anni prima. Nel suo girovagare per le strade alla ricerca di vecchi e di nuovi clienti, gli capitava di passare per posti molto belli e suggestivi, alcuni addirittura incantevoli. Nel intervallo del pranzo era solito fermarsi e, mangiando un panino, inoltrarsi nei boschi illudendosi così, di contribuire a ripulire i polmoni asfissiati dal troppo fumare. Godeva del senso di “infinita libertà” che lo pervadeva ad ogni respiro.

Fu proprio questa la sensazione che l'aveva costretto a fermarsi quando, passando su per un valico tra i monti, aveva intravisto una cascina semi nascosta tra gli alberi. Averla vista e amata era stato un unico sentire: si era inerpicato lungo il pendio della montagna e incurante della posizione in cui lasciava l’auto, l’aveva raggiunta per restare a girarle intorno immemore del tempo che passava. Poggiava con un lato al fianco della montagna e dal lato opposto affacciava su una piccola sorgente che, formata una larga pozza, trasparente e profonda qualche metro, tracimava da un lato in un torrente che inoltrava il suo corso giù per il pendio perdendosi, nel folto degli alberi e verso una confluenza lontana, con un andamento sempre più tumultuoso. L’ampio antistante sembrava fatto apposta per accogliere le tavolate di amici che potevano riunirvisi.

Da quando le sue fantasie si erano trasformate in paranoie, aveva deciso che l'avrebbe fatto in quel luogo: forse gli sarebbe stato meno difficile! Si costrinse ad accelerare per arrivare il più presto possibile, non voleva ripensamenti. Sobbalzando sul fondo sconnesso spinse la macchina lungo il viottolo fino a fermarsi di fianco allo stagno. Spento il motore restò qualche minuto a fumare con il cervello perso in un nulla nebbioso; sul sedile posteriore, ben oliato nella sua custodia, un semiautomatico a due canne sembrava far la guardia al fortino della sua mente: gli attrezzi che aveva lasciati disordinatamente nel cofano, rotolando ad ogni curva, gli avevano instillato una sorta di nenia da cui faticava a staccarsi.

Il freddo pungente lo riscosse dal suo torpore e tornando alla realtà prese a ripassare mentalmente ogni fase del piano. Solo se il tutto fosse alla fine sembrato un incidente il suo gesto sarebbe servito a qualcosa, era quindi necessario che fosse tutto perfetto, che non desse adito al minimo sospetto. Certo, un improvviso pomeriggio a caccia era di per sé una cosa bizzarra, ma se le stranezze si fossero limitate a questo, era certo, nessuno avrebbe fatto eccessive domande. Si guardò intorno assaporando ogni respiro, ogni albero, ogni alito di vento: scientemente aveva omesso di parlare con la sua famiglia, a loro non sarebbe riuscito a nascondere la sua decisione, il suo gesto. Avrebbero, soffrendo, pianto una vittima innocente ma, forse, non avrebbero perdonato un gesto suicida.

La giacca di velluto lo avvolgeva riparandolo dal freddo, rialzò il bavero sul collo sorridendo tra sé per l’inconscia ed ormai inutile preoccupazione per la sua cervicale: si avviò con ai piedi gli anfibi che aveva sgraffignato dal magazzino della caserma quando si era congedato. Fucile in spalla caricato a lupara si diresse verso uno spuntone di roccia poco distante. Coperto di muschio sdrucciolevole sarebbe stato un ottimo posto da dove, scivolando, far partire un colpo: il colpo che devastandogli il petto lo avrebbe sollevato da ogni incubo e da tutte le preoccupazioni.

E ripensò alla compagna: erano poco più che ragazzini quando si erano messi insieme. Quante ne avevano fatte e passato!. Nella buona come nella cattiva sorte era sempre rimasta al suo fianco, presente e vigile come lui non era più: anche se ogni giorno più stanca e distante. Si stavano allontanando poco a poco, ma lei avrebbe cresciuto bene i ragazzi, avrebbe fatto loro da madre e da padre, avrebbe capito, alla fine, e li avrebbe protetti dalla crudeltà del mondo. E i suoi figli: il maschio ancora troppo piccolo per soffrire a lungo di un dolore, per quanto grande questo potesse essere. La ragazza, lei si, per lei sarebbe stato terribile. Per quanto bambina avevano sempre avuto un rapporto combattuto: aveva un carattere molto forte ed impulsivo, ma fin troppo sensibile alle cose della vita. Sperò con tutto il cuore che l'atroce esperienza che l'attendeva, pur corazzandola verso la vita, non le inaridisse l'anima.

Basta!. Era ora… . Si frugò nelle tasche alla ricerca di un'ultima sigaretta e con suo grande stupore senti sotto le dita un busta, ne trasse il foglio di quaderno scritto con mano infantile e lesse. Le parole scorrevano sotto i suoi occhi come le lacrime che ne uscivano copiose. Alzò gli occhi al cielo e con un urlo improvviso gridò agli alberi e alla montagna e al mondo e a Dio tutta la sua rabbia e la sua frustrazione. Poi, abbassò il cane del fucile, si girò e ridiscese verso la cascina e la sua auto. Guarito dalla sua paranoia sarebbe ritornato alla famiglia per combattere fino alla fine ed oltre se necessario.

La curva lo sorprese improvvisa. La macchina, slittò, barcollò e senza più controlli fermò la sua corsa schiantandosi contro la montagna fradicia di pioggia. La mano afferrò disperata la letterina poggiata sul sedile del passeggero nel mentre che scoppiavano vetri e lo sterzo gli sfondava il petto. Il buio, lo schianto ed il dolore gli chiusero gli occhi ancora pieni di lacrime… .

La sirena dell'autoambulanza precedeva, violenta, il mezzo che correva nella notte e si perdeva, lugubre, nella pioggia alle sue spalle. L'autista affrontava ogni curva come se fosse la soglia di un traguardo immaginario, pregando di arrivare in tempo per salvare quella vita raccolta dalle lamiere contorte di una macchina irriconoscibile.

Correva…. sfruttando al limite le possibilità di un mezzo, incurante del precario equilibrio e degli sballottamenti cui erano costretti i passeggeri al suo interno.
Correva …. Aveva estratto quel uomo dal viso devastato e dal fianco aperto dal pignone dello sterzo riconoscendolo come l’amico di tante bisbocce e serate gioiose: quel uomo che con gli occhi ormai velati ed incoscienti ancora stringeva un foglio di quaderno tra le dita.
Correva … al improvviso sentì come se tutto questo non fosse necessario e, rallentando istintivamente, gli ritornarono alla mente le parole che aveva letto sul foglio. Il foglio che, faticosamente e per preservarlo, aveva liberato dalle dita del suo amico…

“ Caro papà, tu dici sempre che hai sbagliato tutto nell'educarmi, ma non è così. Ho sempre pensato che tu mi hai dato tutto quello che una figlia può desiderare, insegnato tutto quello che c'è da sapere, il bene e il male. Il mio mondo è tutto fiori e colori, è senza cattiveria; ma quando soffri tu, soffro anche io e tremo al pensiero di doverti perdere un giorno, ma nello stesso tempo ringrazio Dio per i doni che ci ha offerto e la felicità che ci ha regalato. Queste parole, queste mie parole sono tutto l'amore che ho nel cuore, ti voglio bene, ti voglio tanto bene papà …. “.

… quelle parole erano il salvacondotto per la vita di una persona che non poteva e non doveva morire…
" ...andrà tutto bene ... " si disse l'autista accelerando di nuovo.

… oltre 200 (DUECENTO) imprenditori martiri suicidi nel 2014; e non è finita !.